«Un libro indispensabile, inedito e necessario». Così gli addetti ai lavori definiscono “Storia culturale della canzone italiana”, l’opera di Jacopo Tomatis edita da Il Saggiatore. Torinese, 35 anni, musicologo, musicista, critico musicale, giornalista, docente di Popular music all’Università di Torino, l’autore da qualche giorno sta girando la Sardegna per presentare il suo libro. Dopo Macomer, Olbia, Montresta e Cagliari, le ultime due tappe del suo tour isolano sono fissate a Sassari. Stasera alle 18 Tomatis sarà al Vecchio Mulino di Sassari per conversare della sua opera con Antonello Lullia dell’associazione Materia Grigia.
Domani all’Ultimo Spettacolo dalle 20 invece l’esperto musicale sarà ospite del “Club del disco” per una inedita “Storia privata della canzone italiana”, in cui smetterà i panni del saggista e si metterà a nudo.
Nella bibliografia italiana la musica “leggera” è letta come fenomeno di costume, arte di serie B, strumento per leggere altri processi storici. Il suo studio supera l’approccio divulgativo e aneddotico e affronta l’argomento con piglio scientifico. «Non si spiega perché non si debba studiare la canzone come la letteratura, il cinema o il teatro», afferma lui. «“Storia culturale della canzone italiana” è un libro serio su un argomento ritenuto troppo leggero per essere oggetto di studio – dice Tomatis – affronta la storia della canzone italiana attraverso il ruolo avuto nella cultura del nostro Paese». L’opera è il frutto degli studi tra Italia e Inghilterra, del lavoro fatto durante il dottorato e di ritrovamenti e ricerche che risalgono anche a dieci anni fa.
«Della canzone italiana se ne parla solo in rapporto alla storia propriamente detta, come se colonna sonora dei fatti che stanno in primo piano – considera Jacopo Tomatis – o la si sintetizza nell’abusata definizione di “specchio della nazione”». In realtà, sostiene, «per capire i rapporti tra canzone e storia occorre capire come la canzone si rispecchia nella storia e viceversa, capire il contesto in cui le canzoni vengono pensate, suonate e fruite». E a proposito di fruizione.
«Si discute di come la tecnologia cambi le modalità di fruizione della musica, si commenta in modo apocalittico la fine dell’era in cui la musica era un oggetto da acquistare – dice – in realtà sino ai primi del Novecento il disco non c’era, ma l’umanità ha suonato e ascoltato musica lo stesso». Addirittura «qualcuno aveva previsto la fine della musica dal vivo con l’avvento del disco – conclude – ma non è successo».
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