Ironia in scena con “Le verità di Bakersfield” di Stephen Sachs – in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC per la Stagione 2018-2019 de La Grande Prosa – nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna: la divertente e dolceamara commedia – interpretata da Marina Massironi e Roberto Citran per la regia di Veronica Cruciani – debutterà in prima regionale mercoledì 3 e giovedì 4 aprile alle 21 con un doppio appuntamento al Teatro Civico di Alghero, per approdare venerdì 5 aprile alle 20.45 al Teatro Centrale di Carbonia e infine sabato 6 aprile alle 21 al Teatro Nelson Mandela di Santa Teresa Gallura per una riflessione sul valore di un’opera d’arte e sul senso della bellezza – in rapporto alle regole del mercato – tra etica e estetica.
La pièce è incentrata sull’incontro-scontro fra una ex barista disoccupata e un raffinato esperto d’arte di livello internazionale sullo sfondo dell’America di oggi – terra di libertà e speranze, in cui è ancora possibile sognare di raggiungere il successo grazie al talento e all’impegno, e magari anche a un po’ di fortuna – ma caratterizzata da forti contrasti sociali. All’origine di tutto un (probabilmente) prezioso dipinto attribuito a Jackson Pollock finito casualmente nelle mani della donna, donde la necessità di ottenere una valutazione qualificata dell’autenticità (e dunque del prezzo) del quadro: in gioco la possibilità di rivoluzionare un’esistenza segnata da sconfitte e delusioni, un’occasione di riscatto e rinascita, una via d’uscita verso un futuro migliore.
Tra umorismo e suspense si sviluppa un dialogo serrato tra due “antagonisti”, ciascuno alle prese con un “mondo” sconosciuto, in un susseguirsi di coups de théâtre e mutamenti d’atmosfera, in cui l’equilibrio cambia costantemente in favore dell’uno o dell’altra, come in un duello di intelligenze e di volontà. Per la cinquantenne Maude con alle spalle una non invidiabile serie di eventi negativi e fallimenti, costretta ad abitare in una roulotte, in una sorta di caos organizzato che riflette in certo qual mondo l’instabilità della sua vita, il peso delle ferite sull’anima, la rabbia e la rassegnazione, la profonda amarezza ma anche la voglia di ribellarsi al destino la tela del maestro dell’espressionismo astratto rappresenterebbe la chiave per sfuggire a quella situazione difficile e quasi insostenibile. Una carta vincente, finalmente, quando la sua esistenza sembrava giunta al capolinea: quel dipinto è la scintilla che potrebbe riaccendere l’entusiasmo e la passione, o anche semplicemente la fiducia in se stessa. Per Lionel, esperto di fama mondiale, quell’incontro che mette a dura prova la sua sicurezza e la sua imperturbabilità per l’approccio alquanto “diretto” della proprietaria del quadro, con effetti grotteschi e esilaranti, pone invece un dilemma difficile tra ambizione e ricchezza, tra l’insofferenza e il fastidio per quell’interlocutrice così improbabile e l’etica professionale.
“Le verità di Bakersfield” – fortunata commedia del regista e drammaturgo americano Stephen Sachs (titolo originale “Bakersfield Mist”) – è stata rappresentata negli Stati Uniti e nel mondo, tradotta in varie lingue e interpretata con successo tra gli altri da Kathleen Turner e Ian McDiarmid (in un’applaudita versione in cartellone per tre mesi al West End di Londra). Per la prima volta in Italia – nella mise en scène firmata Nidodiragno/CMC – Sara Novarese – Pickford, con la regia di Veronica Cruciani – la pièce alterna momenti di irresistibile comicità e passaggi più intimistici: sotto i riflettori l’eclettica attrice e doppiatrice Marina Massironi e un interprete elegante e versatile come Roberto Citran. Una trama avvincente – ispirata a una storia vera – con un perfetto meccanismo teatrale porta alla luce le verità nascoste: l’enigma del quadro e pure i segreti dei protagonisti, un’esponente della lower class e un esperto d’arte sulle tracce di un’opera di Jackson Pollock, rappresentante di punta dell’action painting e tra gli artisti più “quotati” al mondo.
Focus su una questione cruciale come il potere delle parole, e dunque il privilegio dell’educazione in un mondo solo apparentemente egualitario, perché il sistema formativo spesso (ri)crea delle élites, e nascere in seno a una famiglia invece che in un’altra, crescere nell’uno o nell’altro quartiere o nell’una o nell’altra regione, in zone rurali o in città, comporta delle differenze anche sotto il profilo dell’accesso a un’istruzione più o meno qualificata – con docenti più preparati (anche se non necessariamente più motivati), strumenti didattici e condizioni di studio migliori in misura spesso direttamente proporzionale al censo – con rare eccezioni. La scuola è il luogo in cui ci si scopre o meglio si diventa cittadini, dove non solo si apprendono specifiche conoscenze su diverse materie, ma ci si confronta anche con i propri limiti e emergono inclinazioni, abilità e talenti – e si acquisisce la consapevolezza che il far parte di una comunità implichi sia diritti che doveri. Laddove tra i banchi si perpetui un’ingiustizia – questa si ripercuoterà sull’intera società: senza un’istruzione adeguata e diffusa e senza strumenti per leggere e interpretare la realtà non vi può essere giustizia e neppure democrazia.
La decadenza dell’Occidente si manifesta in piccoli dettagli, amplificati negli Stati Uniti, scenario di grandi contraddizioni, dove il fallimento del sogno americano ha lasciato folle di diseredati e l’assenza di un efficace meccanismo del welfare fa sì che un fallimento economico si trasformi in débâcle personale e sociale e l’eventuale perdita del posto di lavoro segni un punto di non ritorno, l’inizio della catastrofe. Nella moderna società liquida le logiche capitalistiche non sufficientemente arginate hanno creato orde di nuovo poveri che vagano come fantasmi nelle nostre città – clochards non per scelta ma per mancanza di alternative o come la protagonista della commedia, residenti nei trailer parks dove le roulottes sostituiscono le case – quasi un simbolo permanente della precarietà.
“Le verità di Bakersfield” affronta un tema filosofico come la definizione stessa di ciò che è vero o falso e i limiti e l’ambiguità dell’affermazione di un’autenticità (oltre il gioco scenico che contrappone la brutale sincerità di Maude alla correttezza formale di Lionel) svelando quanto possa diventare “catartica” – anche e soprattutto in seno alla civiltà dell’apparire – la libertà di poter dire quello che si pensa: la verità – in fondo – è “rivoluzionaria.