Il fil rouge che ha legato gli appuntamenti, accolti da uno spazio espositivo ricco di iniziative e proposte culturali, è dettato dalla contaminazione di linguaggi, generi, sensibilità diverse. Dai più piccoli, che hanno partecipato alle presentazioni “colorando” di futuro lo stand, fino agli addetti ai lavori, tutti hanno trovato quel “lembo” di Sardegna che cercavano, riannodando un rapporto positivo con la propria terra, in un filo della memoria per nulla nostalgico perché aperto ai fermenti di una società in trasformazione. “Leggere l’isola. Il mondo.”, lo slogan che ha accompagnato l’avventura, ha esemplificato in maniera netta il delicato rapporto che deve intercorrere tra la spinta centrifuga della globalizzazione, e il grande tesoro delle culture locali. La Sardegna ha saputo modulare questo rapporto, ed è pronta alle sfide che si pongono di fronte.
Il “futuro ha sempre un cuore antico”, non a caso questa edizione della kermesse torinese non sarà ricordata per l’accattivante attrazione della “giostra multimediale”, quanto per l’imprevedibile successo di Omero, a dimostrazione di quanto bisogno ci sia di ritrovare riferimenti alti cui appigliarsi, per ridare slancio a un paese fiaccato da troppi anni di crisi. La Sardegna ha dimostrato di averne di riferimenti e tutti solidi: il salone ha messo in vetrina la grande produzione regionale sarda, densa di scrittori, narratori, saggisti, scenografi. Il multiforme ingegno di tante genialità sarde ha trovato il contesto giusto per esprimersi, grazie all’impegno delle case editrici presenti (AmicoLibro, Abbas, EdiUni, Segnavia, Coedisar, Petirosso, S’Alvure, Gi.A di Giorgio Ariu, Panoramika, Nema Press), che hanno mostrato la ricchezza contenutistica del loro catalogo incontrando autori e giornalisti.
“Bisogna varare un Piano Marshall per la cultura, altrimenti il gioco del mondo sarà un gioco a somma zero, rispetto a cui tutti saremo perdenti”, ha ricordato Giancarlo Biffi autore teatrale, ideatore e realizzatore di grandi storie per ragazzi (al salone ha raccontato le avventure del gufo rosmarino e del corvo farlocco a bambini estasiati e divertiti). Darsi la mano grandi e piccoli, questo il messaggio forte, ma anche il segreto per dare libera espressione a un pensiero plurale, come hanno ribadito diversi ospiti illustri. “Una terra meravigliosa- commenta il Premio Strega Tiziano Scarpa cittadino onorario del piccolo comune di Neoneli nel cuore della Sardegna – in cui è possibile trovare la sintesi tra grande e piccolo, globale e locale. Il Festival “Licanìas” organizzato da un piccolo comune è diventato una finestra multietnica costruita su tradizioni locali, ma aperte all’universo mutante della contemporaneità”.
Grande interesse ha suscitato la collana di libri di pregio dedicati all’identità, un’autentica chicca che spazia, come ha spiegato il direttore editoriale dell’Unione Sarda – Lorenzo Paolini – nel folklore, nelle tradizioni, nei costumi e nella lingua dell’antica Sardegna.
“Questa manifestazione – ha spiegato lo storico Alessandro Soddu – ha fatto vedere molto bene diversa da quella superficialmente raccontata in tanti stereotipi ormai obsoleti. Nella società isolana, da Nord a Sud, c’è un divenire e dei giacimenti intellettuali ancora poco sfruttati, che devono essere riscoperti e valorizzati. La storia e la memoria vanno coltivate perché ci fanno comprendere quale debba essere il giusto rapporto tra l’identità che ci lega alle radici e l’apertura agli altri e al mondo, cosa di cui i sardi sono da sempre capaci”.
Nella riaffermazione nelle culture regionali nel grande orizzonte della storia planetaria occorrerà però impegnarsi a ritrovare i valori essenziali, a partire dal lavoro e dal rispetto dell’uomo. “La nostra è da sempre una Regione di scambio – spiega Ciro Auriemma (autore con Renato Troffa di Piove Deserto ed. dea Planeta) – e di incontro tra genti, razze, etnie. Bisogna partire da lì per comprendere la tendenza fondamentale del nostro tempo. Una terra come il Sulcis la cui economia è ruotata per decenni prima attorno alle miniere, poi attorno alle fabbriche è un esempio paradigmatico. Ridare linfa alle nostre realtà, dissanguate dall’emigrazione, sarà il compito di tutti noi, ripartendo dall’etica del lavoro. Risulterà inoltre decisivo acquisire una più generale consapevolezza del contributo politico e storico che le identità territoriali potranno dare per cambiare le dinamiche di una globalizzazione senz’anima, che sta generando un pericoloso accrescimento delle povertà e della diseguaglianza nel mondo”.