Ciò che conta per ottenere il riconoscimento del cognome al minore dopo la Pma effettuata all’estero è la rettificazione dell’atto di nascita, un procedimento limitato alla corrispondenza fra la realtà del fatto come dichiarato all’ufficiale di stato civile e la riproduzione dell’atto. E decisiva si rivela proprio la legge 40/2004, che pure sanziona la fecondazione successiva al decesso, laddove riconosce lo status di figlio al bambino nato alla coppia che si sottopone alla procreazione medicalmente assistita: la norma vale ai fini del riconoscimento della paternità quando il de cuius ha prestato il consenso alla crioconservazione del seme e alla fecondazione senza revocarlo fino alla morte, anzi autorizzando la moglie o la convivente all’utilizzo.
Sono accolti contro le conclusioni del sostituto procuratore generale tre motivi del ricorso proposto dalla madre. Il fatto, anche in base alle indicazioni provenienti dalle Corti Ue ed Edu deve ritenersi applicabile la disciplina ex articolo 8 della legge 40/2004 sullo status di figlio per i bambini nati dalla Pma. E ciò per la rilevanza che la discendenza biologica assume. D’altronde la donna deduce di aver provato il consenso prestato dall’uomo in vita.
“La sentenza di oggi – evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” – ha portato alla ribalta un istituto poco conosciuto, ma di fondamentale importanza per le coppie: il pre-riconoscimento del nascituro o meglio, riconoscimento posteriore al concepimento. Per la rettificazione dell’atto di nascita vale lo status di figlio della legge 40/2004, al di là del divieto“.