La trama è nota – due giovani impiegati, colleghi al ministero dopo esser stati compagni di studi, instaurano un insolito ménage à trois mantenendo e condividendo le grazie – a giorni alterni – di una ex prostituta sottratta allo squallore del “mestiere” e sistemata in un modesto quartierino alla periferia della città. Una situazione necessariamente transitoria ma ideale – a dispetto dell’ambiguità – per i due scapoli, al sicuro dalla tentazione e dai pericoli di eventuali legami sentimentali e nello stesso tempo – per scarsità di mezzi – non ancora in grado di formarsi una famiglia né tanto meno di mantenere decorosamente una moglie e dei figli. Finché la fanciulla dall’animo mite e gentile si ritrova incinta senza sapere e forse neppure volere stabilire di quale dei suoi due amanti ma determinata per quanto le sarà possibile a tenersi quel figlio inatteso.
Quel bambino però – dal punto di vista dei due uomini – dovrà essere “o di uno o di nessuno” come ricorda il titolo della pièce – e dell’omonima novella da cui è tratta – essendo intollerabile a entrambi quella duplice e irrisolta paternità, naturale conseguenza della liaison con la madre – “scandalosa” ma in qualche modo compatibile con le convenzioni e l’ipocrisia della società. Un testo di sorprendente attualità – come sottolinea il regista – che racconta “la fatica del crescere e diventare adulti” e l’oggettiva difficoltà di chi si trova in “ristrettezze economiche”, e mette l’accento su “un modo di pensare alla donna come oggetto di piacere”, e sugli effetti di “una violenza” sia pure implicita, ovvero “una prostrazione psicologica, capace di portare alla morte”.