Matteo Salvini è finito in un angolo: o faceva dimettere Siri venti giorni fa (per senso di opportunità politica continuando comunque a difendere il senatore del Carroccio) – quando è scoppiato il caso – oppure alla vigilia del Consiglio dei ministri decisivo non ha più alcun senso e sarebbe di fatto un’ulteriore clamorosa sconfitta e una totale capitolazione al Movimento 5 Stelle e a Luigi Di Maio, che hanno tenuto il punto fin dall’inizio. Arrivare alla conta in Cdm sarebbe un passaggio doloroso per l’esecutivo: verrebbero messe in piazza le lacerazioni profonde della maggioranza, con i pentastellati che in ogni caso hanno la maggioranza assoluta.
E, quindi, non c’è partita. Ecco dunque la soluzione che sta maturando: scaricare tutto sul premier che, con un suo atto personale e non collegiale del governo, revoca il sottosegretario leghista. In questo modo Salvini potrà continuare a difendere Siri nelle piazze affermando che i processi si fanno in tribunale e non sui giornali addossando al presidente del Consiglio la responsabilità della decisione del siluramento.
Ad ogni modo, come Affaritaliani.it ha scritto fin dal primo giorno, l’esecutivo non cade sul caso Siri e non potrebbe essere altrimenti. La Lega non può certo permettersi di mandare all’aria l’esecutivo del Cambiamento che tante speranze aveva creato negli italiani dopo il 4 marzo 2018 per una poltrona da sottosegretario e per un caso di presunta corruzione.
Ben diversi, spiegano sempre fonti parlamentari del Carroccio, sono i due temi politici chiave per il ministro dell’Interno: l’autonomia regionale e la flat tax. “Qui sì che il governo rischia di cadere, altro che Siri”, spiega a microfono spento un big leghista. Salvini ha spostato a Natale il limite entro il quale far entrare in vigore il trasferimento di competenze e risorse a Veneto e Lombardia ma oltre non può certo andare, anche perché il prossimo anno Luca Zaia va al voto, senza dimenticare che il M5S pone dubbi e interrogativi anche nel merito del federalismo e non solo sui tempi. Va bene la Lega sovranista e nazionale, alleata in Europa di Vox e della Le Pen, ma l’autonomia e il regionalismo sono pur sempre nel dna del Carroccio e su questo punto Salvini non può abdicare, pena una rivolta della base di duri e puri padani già in fibrillazione (non solo in Veneto).
C’è poi il tema della tassa piatta, proprio quella di Siri, che il responsabile del Viminale ha fortemente rilanciato mettendola in contrapposizione al reddito di cittadinanza e sulla quale il M5S ha sempre frenato ponendo limiti e soprattutto ricordando che non dovrà comportare l’aumento dell’Iva dal primo gennaio 2020. Salvini punta tutto sulla nuova Europa che dovrà nascere dopo il 26 maggio, ma se a Bruxelles non arrivasse una svolta in tema di austerity e di vincoli di bilancio (e su questo i sovranisti europei sono perfino più duri di Juncker e Moscovici) far quadrare i conti sarà quasi impossibile, tra rifinanziamento di quota 100 e del reddito di cittadinanza, disinnesco delle clausole di salvaguardia e avvio della flat tax.
“Se non troveremo la quadra, difficile, salta tutto in autunno”, si lascia andare un altro esponente di peso del Carroccio. Ovviamente molto dipenderà anche dal risultato delle elezioni europee e da quanto i sondaggi verranno confermati. Più sarà ampio il vantaggio della Lega sui 5 Stelle e più Salvini alzerà la voce su autonomia e fisco, facendo così riesplodere le tensioni nella maggioranza.
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LaPresse
Fonte: www.affaritaliani.it