Propone una serie di ritratti di scrittori, letterati e poeti, cercati nelle letture di anni, nelle passioni cullate come sostegno al quotidiano, negli amori solitamente taciuti che i disegni rivelano in una grafia rapida e contratta, essenziale quanto icastica, disuguale e intensa come possono essere le opere stesse dei maestri celebrati. Ritratti che pulsano di vita, nonostante la sintesi della linea frammentata e frenetica, leggera ed evocativa attraverso cui si anima il profilo severo di Giorgio Caproni o di Robert Walser, lo sguardo sorridente e dolcemente accennato di Anne Sexton, il gesto enfatico della mano con sigaro di Camillo Sbarbaro, la mole solenne con pipa iconica di Umberto Saba. Sono dettagli di efficacia magnetica, non solo visiva ma emozionale, aspetti di una personalità che quei segni scabri, a volte nervosi, a volte franti fino a perdersi, sollecitano la coscienza del vedere. Gianni Nieddu sembra infatti costruire per sottrazione, quasi intimorito dall’idea che il ritratto possa dire più di quanto sia concesso dire, guardingo e oculato nello svelamento dell’uomo che deve coincidere con il poeta, lo scrittore, con il grande lascito delle loro pagine.
Usa l’inchiostro come fosse pittura e lo coniuga con l’acrilico stendendo pennellate scure che invadono la superficie candida su cui i segni vibranti del tratto scuro compongono i volti cercando l’anima della figura piuttosto che la fedeltà all’immagine. Si stabilisce così una sorta di sottile correlazione tra il destino di quegli uomini e la forma che non chiude, non circoscrive, non definisce le esistenze solitarie, defilate, controcorrente, surreali o ignorate per decenni di personaggi che hanno fatto la storia della letteratura universale. Ritratti del possibile più che del certo, fatti di indizi e inviti a indagare versi e prose, a inoltrarsi in quelle mappe della fragilità, a praticare l’esercizio della lettura come strumento di sopravvivenza.
Per questo spinge il proprio gioco combinatorio fino a intrattenere con il museo un rapporto di equivalenza: i volti realizzati sulla flessibilità dell’acetato vengono disposti su vecchie e ingiallite pagine manoscritte dove la scrittura si sovrappone alle fisionomie dei poeti stabilendo richiami e rimandi tra parole e figure, tra figure e allestimento museale. Tra documenti veri e falsi, tra la storia passata e la sua suggestiva evocazione. Ne discende una nuova geografia del museo che amplifica il valore dell’una e dell’altra delle parti allertate.
In questo modo la galleria dei ritratti ci consegna Personaggi senza tempo, pensati in una dimensione sospesa che il contrasto privo di ombre tra la luminosità dei supporti ( sia il bianco della carta sia la trasparenza plastica) e il nero inchiostrato proiettano in una visione quasi onirica, reinterpretazione simbolica dell’infinito piacere della letteratura. In un verso e nell’altro è titolo oltremodo lirico ma diventa anche ironicamente allusivo all’impianto stesso della mostra che scopre l’altra faccia della medaglia. Lo scrittore si fa parola, racconto, pagine dense. E Gianni Nieddu si inoltra dentro le avventure del celebre burattino di Collodi raccontando Pinocchio come paradigma della storia delle storie, come esemplare testo di formazione.
Ma lo fa con la singolare modalità che le è propria: su piccole buste da collezionisti filatelici, su cui insistono macchie del tempo e sbavate scritture di antichi e scomparsi indirizzi, disegna con graffiante linearismo scene vere e immaginate, momenti fondanti la vicenda più appassionante dell’immaginario ottocentesco. E ancora l’inchiostro, mezzo ideale, carico di valenze metaforiche, che scorre sulle brevi superfici creando figure esili e malferme, allungate e allucinate, grottesche e sgraziate: poetiche, come solo sa fare chi pratica il bisogno di infondere vita all’inerzia della forma”. Mariolina Cosseddu