“La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano”
Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupery
In questo trafiletto, Saint-Exupery, ricorda l’importanza del dare a se stessi, prima ancora che lo facciano gli altri. Infondo, chi può veramente darci quel che soltanto noi potremmo dare a noi stessi, se nessuno attorno conosce, in profondità, i nostri desideri, le nostre speranze, i nostri sogni?
L’estremo desiderio di conformità di questi stessi, spesso, tende a minimizzare la loro importanza, tanto quanto potrebbe una parola detta, lo svelamento di un segreto, ci conduce alla mediocrità delle aspettative che finiscono per appartenere ad un altra persona. Riconosciamo nel nostro desiderio qualcosa che mai potrà essere sostituito, paragonato a quello di qualcun’altro, perché unico ed irripetibile, come l’essenza di ognuno. Il mio talento, la mia qualità innata, vista dalla prospettiva dell’altra persona, rischia di perdere completamente della sua intima importanza e comportare, in questo modo, l’infelicità di entrambi: la mia, perché non sarò riuscito ad esprimere il mio vero potenziale, la sua, perché filtrando l’amore che avrei desiderato dare a me stesso, non darò all’altro la possibilità di poter fare altrettanto, proiettando, su di lui, la mia insoddisfazione.
Essere felici significa, quindi, essere soddisfatti di se stessi, guardare attorno e scoprire, finalmente, che tutto quel che stiamo da sempre cercando, costruendo, ha un senso, per noi, prima ancora che per l’altro. Potrei essere veramente felice guardando al prossimo, specchiandomi in quella che lui crede essere la sua felicità ma, al mio ritorno, rendermi conto che non ho dato a me stesso quel che realmente desideravo?
Si tratterà, quindi, di una felicità illusoria, apparente.
Pensare, credere che qualcuno debba a noi quel che noi stessi sappiamo di meritare e che il tempo, le circostanze, la volubilità dell’altro hanno portato al minimo, rilascia al prossimo quest’importante responsabilità che, in realtà, vogliamo disperatamente assumerci, per sentire, dentro, la completa e duratura soddisfazione data dagli ineguagliabili risultati di queste stesse, soltanto nostre: realizziamo noi stessi.
“Conta solo il cammino, perché solo lui è duraturo e non lo scopo, che risulta essere soltanto l’illusione del viaggio”
Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupery
Chi potrebbe alludere ad un futuro senza una centratura al presente? Potrei pensare ad un domani diverso, interrogandomi su quanto dovrà avvenire, sganciandomi dall’autenticità di quel che sono nel presente?
Una concezione diversa della realtà, un inversione di paradigma sarà quindi possibile soltanto attraverso un ritorno al presente, un radicamento al fine di un riconoscimento istantaneo: la nostra verità.
Daniele Fronteddu