Nella fattispecie, i giudici della prima sezione hanno accolto il ricorso di un utente che aveva agito contro una banca lamentando l’erronea gestione della propria posizione in essere, che aveva generato un ingente saldo debitorio, per lui del tutto ingiustificato ed illegittimo. La corte d’appello di Milano aveva accolto, al contrario, le doglianze della banca condannando il cliente al pagamento del detto saldo debitorio. Col ricorso in Cassazione, l’utente aveva fra l’altro lamentato l’errore commesso dai giudici di merito in ordine al mancato accoglimento della richiesta, correttamente effettuata in giudizio, dell’esibizione di una serie d’importanti documenti che potevano essere utili a dimostrare la fondatezza delle sue ragioni, che la banca non aveva prodotto e che il giudice di appello, conformemente a quello di primo grado, aveva ritenuto non ammissibile.
Non di questo avviso sono stati i giudici di piazza Cavour che, con la decisione in questione, affermano «il diritto del cliente ad avere copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, sancito dall’art. 119 TUB ha natura sostanziale e non meramente processuale e la sua tutela si configuri come situazione giuridica “finale”, a carattere non strumentale. Esso, infatti – si è precisato – non si esplica nell’ambito di un processo avente ad oggetto l’attuazione di un diverso diritto, ma si configura esso stesso come oggetto del giudizio intrapreso nei confronti della banca in possesso della documentazione richiesta e prescinde dall’eventuale uso che di questa il richiedente possa eventualmente voler fare in altre sedi».
In buona sostanza, per la Suprema Corte, «il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell’art. 119 del d.lgs. n. 385 dei 1993 (TUB), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante».