Le aziende sarde rimangono molto piccole, ha precisato Bianca Biagi (Università di Sassari), che ha illustrato i dati del 26° Rapporto CRENoS sull’economia della Sardegna. «Il tessuto economico sardo si caratterizza per la presenza di microimprese o nanoimprese, ovvero con meno di dieci dipendenti. Questo chiaramente è un problema, perché limita la capacità di esportare e soprattutto di creare innovazione e di investire in ricerca e sviluppo e quindi anche la produttività in generale – ha spiegato –. Tra le criticità anche una struttura demografica in declino. Questo creerà dei problemi di crescita potenziale e di sostenibilità futura dello stato sociale». Nel Rapporto CRENoS ci sono anche degli elementi positivi. «Il turismo cresce per il settimo anno di seguito, soprattutto nella domanda turistica straniera, che sale del 10 per cento ed è pari a quella italiana». Un elemento deludente per l’economia sarda in generale è il capitale umano, ancora basso. La presenza di laureati nella fascia d’età 30-34 anni è del 24 per cento, un dato inferiore alla media Ue che è del 40 per cento. «Stiamo però facendo passi in avanti perché rispetto al 2013 siamo cresciuti del 7 per cento». Anche se altri numeri preoccupano: per esempio, il 21 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha la sola licenza media.
Come si inquadra l’economia sarda nel contesto mondiale? «La globalizzazione come l’abbiamo conosciuta finora è venuta meno», ha ricordato Fabrizio Traù, del Centro Studi Confindustria. Ci sono forti tendenze protezionistiche e a circoscrivere gli scambi internazionali ad ambiti più ristretti e ad aree più definite. «Questo comporta un minore ruolo per la domanda estera e un’esigenza di rilancio della domanda interna anche nei paesi industriali che per troppo tempo è stata trascurata».