Creature dell’immaginario emerse dagli abissi della coscienza o riaffiorate dalla memoria, emarginate e frustrate, vittime di angherie e soprusi, costrette all’oblio si prendono la loro rivincita conquistando la ribalta in uno spettacolo brillante e coinvolgente che propone uno sguardo inedito, non indifferente o superficiale ma attento e indagatore sulla realtà.
Ritratti al femminile – ironici e “feroci” – per una riflessione sulle piccole e grandi ingiustizie e sulle contraddizioni della società, sull’arroganza figlia di una (presunta o pretesa) impunità e sulla gelosia che nasce perfino tra sorelle per questioni di interesse o per i rispettivi successi e insuccessi, perfino per l’altrui felicità accanto a un gioco metateatrale con la spietata critica verso la variegata fauna di sedicenti artisti che “abitano” il palcoscenico.
Un vivace affresco di varia umanità tra vizi e (rare) virtù visto o meglio “vissuto” in chiave femminile – anche se non esattamente o non sempre “femminista” – dalle enigmatiche figure che si susseguono a comporre una curiosa galleria in cui domina la “cattiveria” quale unica arma di sopravvivenza nella jungla cittadina.
La parola alle “Donne dell’Underground” che uscite dall’ombra ne approfittano per dire la loro, per dar sfogo a antichi rancori, a una profonda rabbia e una lucida indignazione, ma anche per esprimere la loro ansia di riscatto, il loro desiderio di affermazione superando i confini invisibili – ma apparentemente invalicabili – per ottenere il loro posto nel mondo, “alla luce” del sole.
In un divertente e divertito “contrappunto” le due attrici prestano corpo e voce alle protagoniste, finalmente libere di esprimersi e decise a portare fino in fondo le loro rivendicazioni – si tratti di ricevere il dovuto rispetto o riprendersi una fetta di eredità, vendicarsi di torti subiti o spargere nuovi veleni, forti di una nuova autostima sulla via dell’emancipazione e del riconoscimento sociale. Le “Donne dell’Underground” uscite da un incubo collettivo o “vomitate” dalla terra si presentano di fronte al pubblico: sono in fondo dei «piccoli “mostri”» – come scrive Marta Proietti Orzella nelle note, nel duplice senso della meraviglia e dell’orrore, moltiplicato dall’essere uno specchio (deformante) della realtà. Un’antologia di storie “maledette” di «donne “al margine”, donne “dell’underground”, personaggi grotteschi e mostruosi, spesso odiosi e insopportabili» che offrono «un improbabile (ma non troppo!) “spaccato” femminile».
Sottolinea l’attrice e regista: «La liberazione da una condizione di sottomissione e di marginalità è l’elemento che accomuna la storia di queste donne alla ricerca di un riscatto personale e sociale. Il ritratto che ne viene fuori è quello di donne vulnerabili e umili, ma non arrendevoli, che si ribellano a una condizione di subordinazione e inferiorità. Il linguaggio è quello tipico della commedia (qua e là si fa uso della lingua sarda). Le storie sono arricchite da suoni, musiche e immagini che sottolineano le azioni» in una mise en scène raffinata e suggestiva che ci spinge a guardare, volenti o nolenti, un po’ più in là, oltre l’orlo dell’abisso.