L’uomo di 51 anni, psicologo di professione, sostenuto da Inclusion Handicap, un’organizzazione federativa delle associazione elvetiche dei disabili, si riteneva vittima di una discriminazione.
Il 4 ottobre 2008, voleva vedere un film che veniva proiettato in una sola sala di Ginevra, una struttura rinnovata prima dell’entrata in vigore della legge federale sull’eliminazione di svantaggi nei confronti dei disabili.
I giudici di Strasburgo hanno però argomentato nella Causa 40477/13 che dall’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, non può essere dedotto il diritto di accedere a un cinema particolare per vedervi uno specifico film, se vi sono altri cinema nelle vicinanza. Inclusion Handicap aveva cercato di porre la questione in modo più ampio, in una prospettiva complessiva: per i disabili, argomentava l’organizzazione, la somma delle barriere è una restrizione nella loro vita.
Va quindi sanzionato anche il singolo caso. L’andicappato in questione si era già visto dare torto dalla giustizia ginevrina e dal Tribunale federale (TF), che avevano ritenuto non discriminatorio il comportamento del cinema: il rifiuto dell’ammissione non si basava su una mancanza di tolleranza, ma su questioni di sicurezza, aveva affermato il TF.
Stando a Inclusion Handicap la corte di Losanna ha, sulla discriminazione, una giurisprudenza troppo restrittiva, che non è compatibile con la convenzione sui diritti dell’uomo. Non solo la quotidianità resa difficile dalle innumerevoli barriere che si frappongono giornalmente, commenta Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, rammaricato della decisione dei giudici europei, ma anche la complicazione di questa decisione che renderà meno semplice anche la banale visione di un film. La sentenza mostra quanto nei fatti l’uguaglianza per le persone disabili sia ancora lontana.