Il disco, uscito il 17 maggio per la casa discografica La Cùpa/Warner Music Italy, è stato anticipato dal singolo Il povero Cristo, trasmesso ampiamente in tutte le radio e piattaforme streaming.
Le fievoli luci sulle note di “Dimmi Tiresia”, e “Ballate per uomini e bestie”, illuminano debolmente gli artisti creando un’atmosfera magica, il pubblico gradisce i brani e l’attenzione aumenta quando Vinicio annuncia: “Benvenuti nel nostro circo macabro, dopo aver ballato al ritmo di “eja”, invita sul palco Riccardo Pittau da Guasila, con il suo rap.
“Su Maistu m’ha zerriau, seu arribau, mi naranta Riccardo Pittau”, inizia così il brano dell’originale cantante, scatenando l’applauso del pubblico. Pittau diverte e conquista i presenti, contento di esser stato chiamato da Vinicio per questa importante performance, e lo ringrazia nel suo rap in sardo campidanese.
Dopo è la volta di un brano famosissimo dei Barritas degli anni 70 “Cambale Twist”, che tuttora viene cantato da un loro famosissimo componente: Benito Urgu. Al parco dei suoni son tantissimi che conoscono il brano, e conoscono perfettamente Benito, data la sua notorietà. In tanti ballano.
Il concerto prosegue con un pezzo concepito in Sardegna per i fuochi di Sant’Antonio abate, e precisamente “Le tentazioni di Sant’Antonio”, a seguire “I Musicanti di Brema”, “Il testamento del porco” e “Le Loup Garou”, simbolici e attuali i testi “Sono un mannaro dentro, sono un mannaro melanconico. Durante il rito elettorale, quando il paese si denuda, un desiderio vivo mi assale, un desiderio di carne cruda….”
Si prosegue con “Ognuno uccide quel che ama” e “Cancion Mixteca”, una canzone tradizionale messicana che viene proposta per la prima volta in Sardegna.
“Cumponidori” arriva al novantesimo. “La prima registrazione di questo disco è stata fatta a Cabras, un posto con le case basse che sembra il Messico – commenta Capossela – mentre ero lì una ragazza mi ha parlato del cerimoniale della Sartiglia. È una perfetta esemplificazione del rito della festa, che per un giorno eleva a dio uno degli uomini più meritevoli della comunità”.
Dopo “la padrona mia” e “Chi muore muore, chi canta campa”, Vinicio fa riferimento al carnevale di Ovodda, dove a febbraio per “Meurish de Lessia” (mercoledì delle ceneri), tutto il paese mascherato festeggia, invitando tutti i presenti con il vino versato dalle damigiane nelle corna di bue, con l’invito di “Buffa, Buffa” (Bevi, bevi). Capossela con tutti questi riferimenti alla tradizioni locali della Sardegna e del Sud, rimarca il suo attaccamento all’Isola e la ricerca continua di esperienze e conoscenze, da riportare nei suoi testi e musiche, in modo sempre originale e divertente.
Ora Capossela cela il suo viso, anticipando: “ho una maschera in faccia, vedo tutto dalle fessure degli occhi, fessure geometriche delle maschera di legno duro, come pelle. Ho un viso d’animale, lo sento nel palmo, mi viene di imboccarlo, mi sento la lingua porosa, ci dormo insieme, la maschera sono io stesso, la maschera si è presa la mia faccia, ora sono il minotauro e parlo on i giganti, parlo con lo spirito dei Nuraghi, parlo con la voce della terra”.
In questo momento sul palco, in mezzo agli effetti speciali delle luci e del fumo, appaiono in controluce 2 “Boes” nella classica maschera lignea di Ottana, vestiti di pelli e lana, e si ode l’inconfondibile suono dei campanacci.
Ecco, ora Uomini e bestie sono sul palco, danzano assieme al grido dei musicisti di “Brucia Troia”, il pubblico coinvolto totalmente dalla scena è in delirio, in piedi, braccia alzate, telefonini a riprendere, persone a cavalcioni.
“Brucia Troia” – impazzisco, non so quello che sto facendo, so solo che quella maschera si è attaccata al mio volto, non sono più due buchini, sono i miei occhi”. Questo è Il racconto di Matteo, che ha avuto l’onore di salire sul palco e indossare per la prima volta la maschera di Su Boe, rappresentando assieme al suo amico Riccardo la maschera tradizionale di Ottana. “Salto, mi dimeno, ballo alle note di quelle canzoni che conosco benissimo -continua Setzu – l’ansia diventa una palla in mezzo al torace, manca il respiro, gli occhi si gonfiano, le gambe cedono. Mi siedo in un blocco di cemento dove ci saremo cambiati. Penso a mia Madre, volata chissà dove solo due mesi fa. Penso a mio Figlio che è la mia Vita. Indosso i cambali. Inizio a diventare un animale. L’adrenalina scorre come una tremenda scossa. Non riesco a controllare le sensazioni. Metto le pelli, le sonaglie, su mucadore, sa caratza de Boe. Salgo gli scalini che portano al palco, la bocca si asciuga, il cuore rallenta, vedo il mondo dietro le fessure di una maschera, lo vedo dagli occhi di un animale. Non sento più nulla, mi metto ai lati di Gavino Murgia e Vinicio Capossela, come quel giorno di tanti anni fa le sedie sono sparite, davanti a noi ci sono quelle persone che come me sono sempre state sotto le transenne, devo dare tutto me stesso, non posso sbagliare, per mia Madre, per mio Figlio, per Riccardo, per Ottana. Salto, mi dimeno, ballo alle note di quelle canzoni che conosco benissimo. “Il Ballo di San Vito”. Penso di entrare in trance, non riesco a fermarmi, quella canzone l’ho sempre adorata e sul palco c’ero io stavolta. Scendiamo dal palco, è finita. Mi sento libero. Le sonaglie hanno scacciato via tutte le cose brutte che mi soffocavano l’anima. Quella sensazione di bocca asciutta e respiro che mancava era quello, stava andando via la negatività e la tristezza che avevo dentro. Mi sentivo libero, è stata una sensazione bellissima”. Matteo descrive benissimo le sensazioni che prova, mettendosi a nudo, nonostante la maschera e gli abiti indossati.
Il concerto volge al termine, si sentono le note di “Ovunque Proteggi”, e dal palco Capossela invita: “Abbracciatevi”. In tanti raccolgono l’invito.
Michele Vacca