Ritratto di una donna forte e amorevole, determinata a non arrendersi alle sventure, sopravvissuta alla strage dopo la conquista di Troia e costretta a lasciare la sua patria per seguire il nuovo “padrone”: Andromaca, dopo il duplice lutto e la perdita della sua famiglia, nella casa del re dell’Epiro ha potuto ritrovare il suo equilibrio e forse conquistare un po’ di serenità se non di felicità. Neottolemo si è legato alla bella e giovane schiava, non più soltanto una “preda di guerra”, ma ormai a tutti gli effetti la sua amante, da cui ha avuto un bambino – mentre le sue nozze con Ermione, la figlia di Elena e Menelao, si son rivelate sterili.
L’inclinazione del marito per la straniera, ridotta in schiavitù come le altre principesse e le donne superstiti dopo la caduta di Troia, infastidisce Ermione e rende più difficili rapporti della coppia reale: gelosa della prigioniera e di quella nuova maternità, che sembra sottolineare la sua incapacità di dare un figlio e soprattutto un erede a Neottolemo, la sovrana decide di approfittare dell’assenza del consorte per eliminare la rivale.
Una fiaba crudele dagli esiti però non scontati: Andromaca, informata dell’intrigo ai suoi danni cerca rifugio nel tempio di Teti (antenata divina di Neottolemo e madre di Achille, defunto suocero di Ermione) e invia un messaggio a Peleo, sposo della dea e nonno di Neottolemo. Ermione a sua colta invoca la protezione del padre Menelao, re di Sparta e dunque marito tradito di Elena – in nome della cui bellezza sarebbe stata combattuta la guerra di Troia. Si trovano così a confronto le due donne – Andromaca e Ermione – l’amante e la moglie tradita, che accusa l’altra di averle sottratto l’affetto del marito, mentre costei ribadisce che l’atteggiamento sprezzante e la freddezza della regina sono la vera causa dell’allontanamento del marito, quasi invitandola a una maggior comprensione e alla gentilezza.
Il duello verbale lascia il posto alla diatriba tra i due re – Peleo e Menelao – il primo intervenuto in difesa del nipote, unico discendente della stirpe di Achille l’altro a sostegno delle ragioni della figlia Ermione, in cui pesa invece la genealogia materna, dato che i troiani, sia pure vinti, restano pur sempre nemici – e dunque temibili (quasi a ribadire lo strazio dell’assassinio del piccolo Astianatte, nel timore di una vendetta che il mito attribuisce, sia pur tardiva, ai romani, discendenti di Enea).
Una trama complicata e con temi se non toni quasi da pochade – il tradimento e la gelosia, l’orgoglio paterno riflesso sui nonni – in cui si toccano però questioni fondamentali, dalla condizione della donna, moglie sottomessa costretta a sopportare le infedeltà del marito o trasformata in ostaggio se non in bottino di guerra per i vincitori, secondo la regola per cui i conflitti si estendono alla popolazione civile e ai corpi – delle mogli e madri, figlie o sorelle degli sconfitti e perfino dei bambini – che possono essere comprati e venduti, usati come merce di scambio e simbolo del potere.
“Andromaca” – nella versione di Massimiliano Civica e I Sacchi di Sabbia mette in risalto il lato comico sotteso alla tragedia, oltre all’ironia implicita di quell’adoperarsi e affannarsi per mutare un destino già scritto da parte dei personaggi ignari della propria sorte e comunque in balia dei capricci degli dei. Euripide è forse il più “laico” tra gli autori greci, nelle sue opere vi è una peculiare attenzione alla psicologia e al realismo, le situazioni vengono spesso spinte all’estremo finché l’intervento di un “deus ex machina” interviene a risolvere il dilemma e riportare l’armonia.
Nello spettacolo prodotto dalla Compagnia Lombardi-Tiezzi con I Sacchi di Sabbia (grazie allapreziosa sinergia tra uno storico gruppo dell’avanguardia e una delle più interessanti compagnie della nuova scena italiana), si indaga l’aspetto più umoristico della tragedia, la cui trama articolata racconta una “semplice” lite domestica nata dalla gelosia, le cui conseguenze potrebbero però essere terribili. «“Andromaca è un testo decisamente anomalo nella produzione euripidea» si legge nelle note: «non vi si staglia alcun protagonista, nessun dio compare, come pure nessun “eroe tragico”; il mondo, svuotato di presenze eccezionali, sembra ospitare solo uomini incapaci di decidere del proprio destino. Le speranze si alternano alle tragiche disillusioni, in una danza meccanica, così macabra e spietata da sembrare comica».
Il finale – a sorpresa – spariglieà ancora le carte e rimescolerà i destini, quasi a dimostrare l’inutilità di ogni sforzo e la potenza e imperscrutabilità del fato.