A unirsi alla diarrea verbale senza filtri, tanti, tantissimi omuncoli di dubbia moralità, sui social le hanno dato della “troia”, della “cagna”, della “puttana” come tale meritevole di essere violentata dalle stesse persone che lei, con coraggio, ha salvato.
Quello della Rackete è solo l’ultimo esempio di una lunga, lunghissima lista, più lunga di quella che possiamo anche solo immaginare, perché questa ragazza, forse suo malgrado, è diventata un caso, come lo furono a loro volta la Murgia, la Boldrini o Giulia, la ragazza che espose il cartello con su scritto “meglio puttana che salviniana” ma sono tante, tantissime le donne che ogni giorno vengono insultate sui social, a cui viene augurata la morte o lo stupro, senza che nessuno ne parli.
Forse è complice la convinzione che il web sia una zona franca dove tutto è lecito, tutto è concesso, che sia questo un luogo virtuale in cui poter impunemente sfogare il proprio odio incondizionato, la propria frustrazione per una vita evidentemente costellata di fallimenti, al punto da poter riversare sugli altri la responsabilità della propria misera condizione, senza lasciar spazio alla comprensione, all’empatia, al semplice pacifico confronto.
Forse è complice, ancora, una classe politica che di quell’odio si nutre come linfa vitale, che non prende le distanze da quegli atteggiamenti, da quelle affermazioni indecenti pronunciate in un paese che non merita l’aggettivo “civile”.
Ma non esistono giustificazioni.
Non esistono attenuanti.
Non c’è odio che tenga, per augurare una siffatta violenza.
Lo stupro è un reato aberrante, la sottomissione completa di un altro individuo.
Stuprare significa privare una persona della propria dignità, del proprio essere, svuotarla completamente, renderla incapace di qualsivoglia reazione, della possibilità e del diritto di scegliere, talvolta del diritto alla vita, perché le cicatrici lasciate dalla violenza non si rimarginano e spesso, troppo spesso, la morte diventa l’unica via di fuga.
Ecco ciò che si augura quando si auspica lo stupro per la Capitana Rackete, per Laura Boldrini, per Giulia, per tutte quelle ragazze e donne colpevoli di voler vivere e creare un mondo migliore, colpevoli di non cedere all’odio e all’intolleranza, di pensare che la dignità umana sia sacra ed irrinunciabile, ma in fondo colpevoli in particolare di essere donne.
La sensazione è quella di vivere in un paese popolato da tanti misogini, da tanti uomini che hanno una tremenda paura delle donne non sottomesse, di quelle che decidono di alzare la voce, di ribellarsi mostrando di non essere solo pezzi di carne ma esseri pensanti, capaci di ragionare con la propria testa e di poter perfino cambiare le cose, di andar contro tutto e tutti per far valere i propri ideali.
Beninteso, non solo gli uomini sono i responsabili di detta situazione, e difatti sono sovente altre donne quelle che augurano morte, stupri, che insultano con appellativi quasi impronunciabili e cattiverie disumane rendendo questa realtà ancor più deprimente, più sconvolgente e meschina.
Ma ciò che più rammarica è la completa assenza del benché minimo rispetto per tutte quelle donne, per tutte quelle bambine e quei bambini che ogni dannato giorno subiscono abusi sessuali.
Chissà cosa mai passerà per la testa di queste vittime silenti e spesso invisibili, quando di fronte a sé trovano il loro stesso dolore augurato ad altri per ragioni infime, per questioni di politica.
Non vengono alla mente parole sufficienti per descrivere il vergognoso baratro dell’inciviltà e dell’orrore in cui sta sprofondando questo paese, ed infine l’unica cosa che pare rimanere nella mente e nell’animo di chi a tutto questo non si vuole abituare, è un profondo senso di impotenza e disgusto.