Spesso accade di rendersi conto dell’esistenza di un problema dentro che, sommandosi a quel che osserviamo attorno, va a compromettere il nostro equilibrio psicofisico (interconnessione), e la nostra convivenza con l’altro diventa un programma da riscrivere, trasformandosi, nel tempo, in un incontro-scontro fra più parti di noi che entrano in collisione con le parti dell’altro: ne deduciamo che la società, composta di queste reali quanto apparenti divergenze, comprensive di situazioni irrisolte del rispettivo passato di ognuno, è un calderone nel quale troviamo di tutto. Come all’interno di un gruppo, quando un componente prova disagio, l’intero gruppo ne risente e l’assetto interno cambia, anche nella società, in modo più allargato, funziona allo stesso modo: un gruppo può cambiare, in positivo o negativo, come un singolo può esercitare la sua azione, positiva o negativa, attraverso la parola. Anche questa potrebbe tramutarsi in un illusione, nel momento in cui realizziamo la centralità dell’essenza. Pensiamo ai media e la comunicazione su larga scala, come giornali, telegiornali, e proviamo ad immaginarci che genere di impatto possano avere le notizie di cronaca sulla popolazione: purtroppo non è una soluzione impedire che si diffondano, ma è nostro compito scegliere cosa escludere per non arrecarci, nel momento più delicato, altrettanta sofferenza.
Capita sovente di rendersi conto, guardando all’insoddisfazione che rimane nel collettivo, del sottile meccanismo che lascia quasi sempre basiti per la sua natura prevedibile. Abbiamo fatto passi da gigante nella scoperta di soluzioni a malattie rare, in ambito medico, e numerose altre cure relative al cancro ed alla possibilità di guarigione. Ma ancora tendiamo, alla stregua del tempo passato, così intensamente ed inconsciamente, nel rivolgere ancora l’attenzione a quel che si può vedere e smaniosamente classificare, etichettare senza sosta escludendo, com’è immaginabile, qualsiasi cosa non possa essere razionalmente spiegata per via della innaturale tendenza a coprire il funzionamento di quel meccanismo, tanto passato quanto presente. Quel che può esistere in natura, secondo gli occhi della razionalità, è spiegabile allorquando non si verifica quel cambio di prospettiva che sarebbe necessario per riconoscere che non tutto, per fortuna, è spiegabile dalla scienza ufficiale che muove le sue ricerche in direzione positiva e costruttiva, se non fosse per quest’estremizzazione del bisogno di riconoscimento e classificazione. Una spada a doppio taglio che permette, da una parte, conquiste sempre nuove ed un avanzare sempre più funzionale alla nostra crescita, ma dall’altra comodità irrinunciabili e “sicurezze” che si tramutano in eccessive limitazioni, con la conseguente negazione di quanto la vita ha più profondamente da darci: il Mistero di quel che sappiamo conoscere da sempre ma che copriamo, accontentando un bisogno che finisce per cadere nell’effimero, superficiale.
In profondità sappiamo non essere spiegabile il fatto che stiamo vivendo, e viviamo quasi senza immaginare che l’essenza stessa della vita siamo noi, con i nostri perché (da scoprire strada facendo), i nostri come, le nostre eterne domande alle quali, però, quasi sempre cerchiamo di defilarci nella risposta, pensando la paura possa essere più forte di noi, delle nostre forze. Siamo certi di non voler sapere la risposta perché infondo non ci siamo mai posti, per davvero, questa domanda, convinti di una risposta che non sarebbe mai arrivata (perché nessuno è stato mai in grado di fornircela) ed abbiamo preferito guardare fuori per trovarla: in realtà, la risposta è sempre stata solo e soltanto dentro, da sempre, e qualsiasi tentativo fatto per cercarla fuori non avrebbe reso l’idea e l’importanza che avremmo poi dato ad essa sapendo d’averla trovata fuori. Cosa è per te la Vita? Cosa significa per te vivere una giornata bellissima? Stai vivendo una vita che desideravi? Se non sei soddisfatto, perché non lo sei e cosa desidereresti avere per esserlo? Cosa faresti per raggiungere la tua vera soddisfazione? Ci rendiamo sempre poco conto di quanto sia importante circondarci di un aura d’accettazione, cadendo nel tranello della paura di soffrire, mentre spesso la vita ci passa affianco: familiari, i parenti, amici che parlano delle loro sofferenze o delle loro felicità, non sembrano rendere l’idea di quelle verità che sappiamo essere nostre da sempre, ma ce le immaginiamo mentre loro parlano.
Vediamo il viso della persona che amiamo, il nostro lavoro ideale, la posizione professionale che desidereremmo raggiungere, un giorno, la famiglia ideale che non abbiamo mai avuto e che vorremmo avere, la possibilità che lui ha saputo e noi non abbiamo saputo afferrare, al momento giusto, perché ci è mancato il momento e le persone “giuste”. Cosa può aver significato per lui arrivare ad oggi ed aver guadagnato questa momento di soddisfazione? Immaginiamo di chiederglielo in una conversazione face to face. Cosa ha dovuto soffrire per raggiungere quel momento che anche lui, tempo addietro, pensava non avrebbe mai raggiunto? Per mancanza di mezzi, possibilità, appoggi, è stato vessato dalle circostanze che lo hanno visto cadere più e più volte senza quasi la possibilità di rialzarsi ed avrebbe voluto poterlo raggiungere anche più facilmente, magari così non è stato ed ha faticato così tanto che a stento riesce a credere le cose siano potute andare in questo modo. E’ nostro amico e dovremmo esserne fieri: quanto ha fatto lo sta raccontando alle nostre orecchie, guardandoci negli occhi, un discorso importante come il suo potrebbe non ricapitare più. Potremmo incontrare altre persone disposte a raccontarci la loro vita, il loro vissuto e prove simili, ma nessuna sarà mai uguale all’altra.
Come sarebbe bello se potessimo raccontare le nostre verità al mondo senza più paura d’essere guardati, etichettati, classificati come “diversi”, esclusi nel manifestare la veridicità di quel che sentiamo, le nostre emozioni, apparentemente così diverse. Donare così tanto al mondo senza preoccuparsi delle conseguenze, del fatto che aprendoci potremmo incorrere nel giudizio di chi non è propenso alla comprensione quanto noi: uno sforzo che viene ripagato alla lunga, senza possibilità di ritorno, soltanto andando avanti per renderci conto di quanto siano state le privazioni nel momento in cui abbiamo deciso di lasciare “nelle mani di pochi” le nostre verità, confidando nel fatto che quei pochi avrebbe reso la nostra felicità così grande e ricca di vedute di quanto avessimo avuto facendo il contrario.
La bellezza di quel che siamo viene da proposte sempre nuove e non preoccuparsi se non va bene, se non è “giusto” per l’altro, perché immaginiamo non possa accettarle, ridicolizzarle, sminuirci, noi ed il nostro lavoro, la nostra persona, l’essenza che non ha nulla di cui vergognarsi, nascondendosi alla luce del giorno, se non raccontare della propria presenza al mondo e condividerla. Abbiamo così tanto da insegnare e da imparare che nessuno può essere considerato un ostacolo: l’unico ostacolo al nostro cammino e allo sviluppo delle nostre infinite potenzialità siamo noi e i nostri pensieri, quasi sempre gli stessi che ritornano dal passato al presente in un loop pressoché ciclico, fatto di esperienze dolorose non rielaborate che necessitano ormai di essere superate.
La società, composta di persone apparentemente “terrificanti”, “mostruose”, “criminali”, diventa un banco di prova per noi stessi che infondo desidereremmo rischiare per non cadere più nella “fossa del giudizio” al punto di non aver più paura d’essere noi stessi.
Quali sono le paure che ancorano le tue azioni, i tuoi pensieri ai condizionamenti familiari, parentali? Cosa rappresentano per te le persone attorno, i tuoi affetti, le persone con le quali sei cresciuto e che desideri ancora vedere? Cosa senti dentro all’idea di non poterle più vedere? Cosa è per te la libertà? Guardare alla libertà come all’aspetto più importante della nostra vita, nel momento in cui realizziamo l’estremizzazione del concetto di giustizia e ordine sociale come quasi un ossessione alla quale aggrapparsi per paura di cadere: le cadute sono fondamentali alla crescita e la prevenzione del rischio non è mai stata più funzionale di questo momento storico che mette un po tutti alla prova, a livelli vissuti per ognuno in diversa maniera. Tutte le più grandi forme di psicoterapia hanno come unico obiettivo riportare la persona alla conoscenza e coscienza di se, per mai più ricadere nei soliti errori, durante un processo di dissolvimento delle vecchie paure che si trasformano in qualcosa di nuovo e mai visto: il vero Se. Il bruco che diventa farfalla nel momento in cui accetta la sfida dell’ignoto e desidera ardentemente coinvolgersi nel processo di Trasformazione: sa affrontare le sfide nel momento in cui prende coscienza d’esser bruco e che null’altro potrebbe sostituire la sua condizione, mentre immagina le ali dispiegarsi a più non posso nel cielo sconfinato. La nostra vita è quanto di più di prezioso abbiamo e, nonostante tutte le credenze, le convinzioni, i condizionamenti che ci sono stati perpetrati negli anni, sappiamo doverla valorizzare guarendo quelle vecchie ferite che ci portiamo appresso e che nessun altro potrebbe sanare. Il nostro cuore puro e splendente desidera ardentemente proiettarsi verso quel futuro splendido e non immaginario, senza pregiudizi di sorta che possano frenarne l’essenza, unica ed indistinguibile, irripetibile, come la nostra Anima che cerca la libertà, fin dall’inizio dei tempi.
La conquista di quella verità innata, dentro e fuori da noi, è una conquista molto semplice e richiede l’accettazione di quelle nostre potenzialità che continuiamo a negare per paura al mondo, in questo momento, nell’istante in cui, invece, lo stesso continua a chiedere, inconsciamente, la nostra massima espressione. Aspiriamo intimamente a quella liberazione che può iniziare partendo dalla nostra scelta, per la creazione di tutte quelle opportunità che andiamo cercando da sempre. Chiediamo di poter esprimere quella verità mai espressa senza più guardare all’altro, le possibilità e le “fortune” che pare aver incontrato sul suo cammino che lo hanno spinto a realizzare il suo più grande sogno, mentre guardiamo le nostre scarpe, con sempre più insistenza, sempre meno fiducia.
Per questo motivo, dare a se stessi la possibilità di irradiare quella verità che comprende la fiducia ad un livello che non è più tanto razionale, non più “ragionato” e direzionato coscientemente, ma attraverso una decisione irrazionale, atto spontaneo che soltanto il cuore conosce e può comprendere, dispone l’essere verso dimensioni delle quali non è ancora pienamente cosciente. Pensare questo in un periodo storico, sempre più vicino a grandi cambiamenti ma, contestualmente, come è sempre stato, tendente alla resistenza della paura al nuovo, a queste trasformazioni verso le quali tutti siamo protesi, alla stregua di un materialismo che tende ad assorbire anche le più intime necessità di riuscita, nel momento in cui convinciamo noi stessi della forza della materia, facendo ruotare dentro e attorno tante, forse troppe possibilità di possedere quel che per davvero desideriamo soltanto riconoscere nel meccanismo e lasciare andare, non aiuta nell’intraprendenza e nell’audacia dell’azione, sul rischio che infondo è Vita. Non rischiare, dando possibilità alla paura di impossessarsi delle basi certe ed inespugnabili, pur importanti nella quotidianità, ha fissato paletti laddove non avrebbero dovuto esserci, spingendoci sempre più indietro o bloccandoci in un punto passato della nostra vita, al fine di trascinare la nostra presenza (al presente) ma da un punto che non potevamo più scorgere con nitidezza. Avevamo, e forse abbiamo ancora, quegli stessi progetti dentro ad un sacco che vorremmo aprire a far conoscere a tutti, ma come potrebbe essere se un giorno decidessimo di gettarci in quest’impresa? La Fiducia come apertura all’altro o a se stessi? Aprire il cuore all’altro potrebbe essere così rischioso? Infondo l’hai fatto una volta e, da quella volta, hai portato avanti un blocco che non ha prodotto più i risultati nei quali speravi: ma non possiamo trovare nuove soluzioni reiterando un meccanismo antico, ormai disfunzionale. Accade nella mente, in profondità, scansando un presente ricco di opportunità che non sempre riusciamo a cogliere: restare bloccati nelle esperienze del passato che non sono funzionali al proseguimento di una vita centrata sull’evoluzione, il cambiamento di quel che è stato per arrivare ad un nuovo stato di consapevolezza, più veritiero per la nostra essenza, in quanto ci avvicina, in maniera più forte, alla nostra più intima presenza.
Per potersi dare questa possibilità è necessario un atto “rischioso” che già diverse persone hanno fatto e stanno facendo, anche in questo momento, scoprendo le carte e realizzando che, per davvero, non hanno nulla da perdere. Infondo si tratta di lasciare andare, in parte, quel che già conosciamo per conoscere qualcosa che non conosciamo ed immaginiamo appartenere ad altri: quel che “appartiene” all’altro non appartiene ne a lui, ne a noi. Nell’istante in cui realizziamo questo senso di non appartenenza al tutto e lasciamo andare quell’insistente “desiderio” di controllo di quanto sembra appartenerci, quanto reputiamo una sicurezza imprescindibile perché amministratrice di una vita, la nostra, che potrebbe produrre un piacere illimitato, lasciamo andare anche la possibilità di “possedere” qualcosa, affidandoci un po a quel che è l’infinito, demandando all’Universo la possibilità di gestire eventi dei quali non conosciamo l’inizio e la fine. In questa stessa ottica il rapporto con l’altro dovrebbe essere una novità, una sorpresa che ci viene fatta e che realizziamo nel momento in cui prendiamo la decisione che può essere in questo modo, lasciare all’Universo la possibilità di stupirci come potrebbe essere un bambino allo scartare del suo primo regalo di compleanno. Permettere alla paura di non farci più stupire ha fatto in modo che gettassimo la nostra verità nel passato, reiterando il senso di privazione, sacrificio, spesso esperienze dolorose o senza un senso apparente che hanno denigrato e svalorizzato la nostra vera natura, fatta invece di “momenti colti al volo” ed imprigionandoci dentro una gabbia priva di umorismo, radiosità, gioia derivante dalle cose più semplici.
La Vita non è serietà ma Gioco, e quanto stiamo cercando di fare è controllare ancor di più quello che ancora non conosciamo, immaginando il momento del Vero Cambiamento come qualcosa di molto lontano: preparare il terreno ai grandi cambiamenti, restando centrati nel presente, è possibile, nel momento in cui trattiamo con l’idea dell’assenza di una vera e propria “sfida” (tendenzialmente nei nostri rapporti con il prossimo, basati sul primeggiare o sulla pacifica convivenza). La Vita non è una sfida ma un gioco da giocare: è un inversione di concezione, un costante cambio di paradigma nella percezione di quel che siamo e quanto ci sta attorno, in costante mutamento. Non abbiamo avuto la possibilità di concepire la Vita come apertura all’altro o non nel modo che avremmo desiderato perché nessuna delle persone attorno è mai stata in grado di fornirci risposte in questo senso, spesso lasciandoci soli nel ritorno o presunto ritorno all’Unità con l’altro, nel cercare le soluzioni che abbiamo immaginato trovare nei “centri di potere”, qualcuno che avrebbe assicurato una difesa, forse ad un livello in cui la difesa non sarebbe stata più possibile, e la possibilità al rischio, così necessaria (cit. la Giustizia). Abbiamo anche dimenticato il vero senso di Giustizia accentrando i nostri personali interessi, basati sulla paura ed anteponendoli al desiderio dell’altro, creando il nostro “piccolo mondo”, fatto di piccole cose: piccole amicizie (magari percepite come grandi), piccoli amori, piccoli desideri, la cui mediocrità riconducibile, nella stragrande maggioranza dei casi, all’altro, al sistema inefficiente. Potremmo avere ragione nel puntare il dito contro un sistema, un gruppo, una persona in particolare, apparentemente inefficiente, improduttiva, negligente, nella collaborazione alla creazione di uno status quo che avrebbe o potrebbe renderci felici e soddisfatti della nostra vita, ma lo saremmo per davvero? In realtà, sappiamo bene dare l’opportunità, la possibilità alla Felicità ad un altra persona che non siamo noi, tirandoci indietro per paura, svalorizzandoci perché immaginiamo non meritare di ricevere, perché questo è arrivato alle nostre orecchie, al nostro cuore: forse non avrebbe potuto essere altrimenti, ma è passato. Accettare il passato libera il cuore riportandoci al presente ed alle sue infinite possibilità.
Ricevere la somma di denaro che, per un momento, abbiamo pensato essere congrua al soddisfacimento delle nostre aspettative, avere l’amico perfetto che ci desse tutto l’aiuto del quale necessitavamo, l’amore più bello della nostra vita che avrebbe reso il nostro esistere unico al mondo: siamo sicuri che tutto questo avrebbe soddisfatto la nostra vita al punto di renderci completamente Felici? Abbiamo, quasi sempre, finito per scaricare la responsabilità delle nostre azioni, dei nostri pensieri, sull’altro che desiderava poter fare altrettanto ma che, come noi, forse per gli stessi motivi, non ha potuto: questa è l’Unità di intenti e la Fiducia, basata sull’assenza di paura, del mostrare la propria verità agli altri, è la chiave per la risoluzione.
Daniele Fronteddu