Il concetto di Giustizia non può in alcun modo avvicinarsi alla ricerca della Felicità, non può conseguire a quella Felicità che desideriamo trovare: desideriamo essere felici, inseguire i nostri sogni al prezzo del sacrificio dell’Altro, sull’immagine ritagliata (in relazione ai condizionamenti, al senso di Unità-Separazione appreso in passato) di noi stessi, creata nel tempo secondo il rispetto dei canoni, delle convenzioni, le contestualizzazioni lontane dal vero concetto di Umanità. Il lavoro dell’avvocato, del magistrato, del giudice come prerogativa alla ricerca dell’ordine: una strategia mancante del punto centrale, il baricentro. I numerosi casi di cronaca nera confermano che si tratta di un ordine lontano, più che dalla concezione di Giustizia, dall’aspetto più importante per tutti noi: il benessere interiore (riconoscimento di se stessi). Nel momento in cui realizziamo la profonda interconnessione fra persone comprendiamo il Gioco dello Specchio nel riflesso del mancato riconoscimento dell’Altro in noi (e viceversa), il senso di Unità. Quanto tempo andiamo a perdere nell’inseguimento smodato del riconoscimento esteriore, nell’attesa dell’accettazione da parte del prossimo? (in assenza sentiremmo non avere uno scopo nella vita, non avendo compreso l’importanza del nostro stare al mondo, dell’esistere – Perché esisto? Una domanda alla quale possiamo rispondere soltanto ritrovando noi stessi). Attribuiamo così poca importanza al senso del nostro personale Progetto di Vita che, assecondando l’Altro, finiamo con l’essere perennemente insoddisfatti, sempre alla ricerca di “qualcosa di nuovo” (dipendenza dall’Altro – in assenza dell’Altro non riesco a comprendere il senso della mia Vita), abitudinariamente nel circolo della distrazione, delle vicissitudini: la sofferenza come espediente teso all’evoluzione ma mancante dell’apporto significativo alla manifestazione della nostra essenza, alla ri-scoperta del princìpio universale della condivisione.
Un energia che non è stata compresa, incanalata, quella del bambino che desiderava trasmettere al mondo la sua verità, inascoltata (il genitore impossibilitato nel trasmettere l’Amore) che cammina per il mondo alla ricerca delle possibilità all’espressione. Un Ascolto che non può avvenire nelle aule di un Tribunale, nello studio di un Commissariato, davanti ad un terzo esterno giudicante, di la dalle competenze: se anch’egli non avrà riconosciuto se stesso, non avrà compreso l’importanza del messaggio, saremmo punto e accapo. Il bisogno del trovare la colpa nell’altro, metterlo agli arresti, trascinarlo in Tribunale risponde ad un antica esigenza che, in mancanza di un baricentro, facciamo fatica ad abbandonare. Come possiamo pensare ad una risoluzione strutturale del “problema” mirando ad una strategia che tenga conto dell’interezza dell’essere umano tendendo alla preminenza delle convenzioni, delle consuetudini, delle logiche di coercizione-restrizione dell’altrui libertà ad esclusione dell’unico vero strumento atto alla prevenzione? Come possiamo immaginare un mondo diverso caratterizzato dalla Pace, dalla cooperazione finalizzata all’abbattimento delle vecchie concezioni (in parte reiterate dal meccanismo dell’intimidazione – da un sistema legislativo ancora in essere), all’estinzione del crimine, del reato, dei capi d’accusa – l’accusa stessa, in mancanza di una vera sinergia istituzionale, una forma di vera collaborazione di la dalle divergenze occasionali, di circostanza?
La risposta sta in noi.
Desideriamo stabilire l’ordine in mancanza della convergenza, il riconoscimento del baricentro (esistente), e potremmo chiederci: Perché desidero che l’Altro segua esattamente le mie indicazioni? Sono stato in grado di darmi quanto sapevo meritare? Se sì, perché continuo a mantenere distanza con l’Altro? Se la risposta dovesse riguardare il personale conseguimento del concetto di ordine (paura dell’Altro), potrei chiedermi: quando ho appreso il concetto di rispetto, chi me lo ha trasmesso e come? Ho mai provato a fare quel che sentivo realmente, lasciare parlare il Cuore?
La risposta potrebbe essere che l’altro desidera esattamente quel che noi desideriamo da lui ma, ne io ne lui, riusciamo a venirci incontro per mancanza d’Ascolto (spesso non voglio stare a sentire quel che dice, la concezione separativa che all’Altro non interessi il mio pensiero, la mia vita – la tendenza alla diffidenza come condizionamento sempre più disfunzionale al senso di unità con l’Altro – l’idea che quanto sto vivendo io non corrisponde a quanto sta vivendo lui, quindi il senso di solitudine nel quale viviamo, volutamente per scelta – tendenza al giudizio, il pregiudizio dato dai condizionamenti).
Abbiamo bisogno di ritornare ad ascoltare il nostro profondo, le nostre reali necessità, inizialmente provando una distanza funzionale allo sviluppo di questa concezione: Riconoscere se stessi (dentro) per conseguire il successo (fuori). In questo senso non miriamo direttamente al successo (riconoscimento esteriore), ma alla nostra personale realizzazione interiore, la nostra Felicità.
Non avremo necessariamente bisogno di riflettere nell’Altro, mentire a noi stessi in seguito alla realizzazione della nostra Verità: non avremo alcun bisogno di alimentare così ampiamente il nostro senso di appartenenza.
Tutto è comunicazione: guardiamo all’Altro riflettendo il nostro disagio, le nostre mancanze. Attraverso l’osservazione pregiudizievole della soddisfazione dell’Altro, della sua contentezza, della sua Felicità, escludiamo noi dal raggiungimento della stessa: ci auto escludiamo perché sentiamo non avere abbastanza forza, coraggio per conseguire il nostro obiettivo: abbiamo necessità di ritornare a noi, ascoltare la voce del cuore coperta, confusamente, dal baccano della mente.
In questo spazio, il nostro, la possibilità di ritrovare la nostra essenza, l’equilibrio tra forze, sempre più importante, funzionale all’uomo moderno ai fini del raggiungimento degli obiettivi in comune e del principale per il quale tutti stiamo vivendo: il Senso di Unità con il prossimo.
Daniele Fronteddu