Ma la Verità prima o poi si fa sentire e nulla possiamo per impedire che questo processo avvenga dal momento in cui siamo noi a crearlo.
Concetti superati, convinzioni, immagini di un passato che non tornerà più ed un desiderio, costante, dell’andare in avanti trascinando vecchie immagini che sappiamo importanti da sostituire per ri-trovare la nostra intima soddisfazione e farla emergere, conoscere al mondo. In cosa consiste, in questo senso, non assecondare più il pregiudizio dell’altro rinunciando a farlo nostro soltanto per paura di perdere qualcosa o qualcuno? Sentiamo di aver da perdere il lavoro, il partner, l’amico che da una vita credeva in noi perché magari cresciuti assieme o arrivato in un momento “particolare” e per questo unico nel suo modo di pensare, la nostra immagine nei suoi occhi, la fiducia che ha saputo trasmetterci nel tempo, quasi “conquistata” unicamente centrando la sua “persona” dentro il nostro cuore ed escludendo il mondo, ostile, minaccioso, “diverso” ed assente di queste prerogative. Guardare alle giustificazioni come un escamotage e, contestualmente, rinnovare il guardaroba ormai logoro è un paradosso, persistente e disfunzionale: ma come possiamo ri-trovare noi stessi anche provando a rilasciare quelle vecchie situazioni che nel passato ci hanno condizionato al punto di farci credere che non avremmo più avuto nessuna possibilità nel prendere decisioni del tutto nuove che nulla avessero a che vedere con quel passato ormai superato? Il sole nasce ogni mattina per splendere alto sui nostri cieli, cosa può farci pensare che la vita, nella sua infinità ed immensità, non abbia la possibilità di farci cambiare “radicalmente” modo di vedere, vivere, da un istante ad un altro? Come possiamo presumere di saperla così lunga a fronte di un futuro ancora inesistente che peraltro non possiamo nemmeno immaginare? Non possono esistere passi troppo lunghi da compiere se non con la sola forza di volontà, in grado di aprire varchi fino al momento inimmaginabili: e cambiamo stando nel mondo guardando al prossimo, quando in realtà la verità è che potremmo farlo iniziando, in qualunque momento, guardando a noi stessi, in profondità, a quelle potenzialità che ri-scoperte potrebbero aprire portali di speranze e desideri, probabilmente impensabili.
Potremmo persino chiederci quali che siano le ingegnosità dell’altro nel saper fare questo o chiedere a noi stessi se essere veramente artefici di quei desideri, se ci appartengano e se abbiamo a che fare con quel passato del quale ci stiamo andando a dimenticare, e potrebbe esserlo nel momento che realizziamo l’unione con il prossimo, ad un livello che non avremmo mai immaginato, la nostra unicità che va a “fondersi” con l’unicità dell’altro non è più “perdita” della propria persona, del proprio desiderio, della propria essenza ma qualcos’altro che ci spinge a guardare ancora più in la, al di la di quegli stessi limiti che impedivano a quell’aquila solitaria, inascoltata, incompresa, di prendere il volo verso nuovi orizzonti.
Il pregiudizio è nato nel momento in cui abbiamo pensato di poter avere paura dell’altro e delle sue parole, azioni che inevitabilmente hanno sbarrato la strada verso la nostra vera libertà, quella più profonda, che desideravamo fin dall’inizio, e che soltanto per un momento abbiamo pensato poter raggiungere ma che, guardando più a fondo, ricordiamo averla sentita in quella maniera nel momento in cui amavamo, ovvero, nel momento in cui ci sentiamo veramente Amati ed Apprezzati per quello che eravamo, facevamo, fosse anche la cosa più piccola del mondo agli occhi degli altri.
Sapevamo il giudizio, il pregiudizio altrui essere deleterio per quelle risorse che invece avrebbero dovuto essere valorizzate fin dal princìpio per non cadere più nelle solite fosse, quelle della sofferenza. Ma guardando ad una società, a partire dalla famiglia, nella quale ha prevalso il giudizio da costrizione, restrizione e, più in generale, condizionamenti (spesso condivisi da più persone) che hanno fatto in modo s’innescassero tutte le paure, nei contesti sociali più disparati, ritornano alla mente, non riusciamo a darci la spiegazione di quel che sia “giusto o sbagliato”, perché non sono stati “in grado” di trasmetterci la sola cosa che tutti andiamo cercando, l’insegnamento primo che nessuna istituzione avrebbe potuto in seguito trasmetterci: l’importanza dell’Amare. Abbiamo ricorso a specialisti del settore come psicologi, pedagogisti, insegnanti delle materie più varie per ottenere risposte che avremmo potuto trovare soltanto ritornando a noi stessi e ai nostri più intimi bisogni, alle questioni irrisolte del passato che mai abbiamo avuto il coraggio di guardare, osservare ad occhio nudo e senza paura. Il Coraggio ha sempre svolto un ruolo chiave nelle nostre vite ma le stesse persone che ne parlavano lo facevano con voce tremante, dalla quale chiarissima si evinceva la paura (sappiamo le cose più semplici essere assai tremendamente sensibili, come le propensioni dei nostri animi verso il prossimo, l’autentico desiderio di riconoscimento altrui), rabbia, risentimento e tutte le emozioni più basse che in precedenza avevamo introiettato.
Quante volte hai provato risentimento per qualcosa che sapevi giusto ma che gli altri continuavano a rimandarti come “ingiusto” per te, anche in relazione a loro o ad altre persone che desideravi (o desideravano) essere felici, perché probabilmente desideravi essere felice con te stessa? Qualcosa mi “trattiene” dall’essere veramente me stesso: può essere la “costrizione” ad una legge percepita come limitativa rispetto all’espressione della mia verità, che proietta su me l’immagine di una persona più forte, con un maggior ascendente sulle mie emozioni e che potrebbe “farmi del male” nel momento in cui provo a “trasgredire” le stesse. Il mio concetto di quel che è giusto l’ho lasciato ad una giustizia della quale non mi sento più soddisfatto come vorrei perché è nella stessa che sta mancando quella vecchia possibilità ricercata, da sempre. Una ricerca che appare come un serpente che si morde la coda: tutti sappiamo quel che andiamo cercando ma non ricordiamo più da dove iniziare. Come raggiungere quell’equilibrio che dentro sappiamo essere il massimo per la nostra felicità guardando ai condizionamenti che spesso impediscono questa piena realizzazione? Qualcosa in me non sta funzionando come dovrebbe nel momento in cui vado cercando quella realizzazione che non riesco ad ottenere, rinunciando alla possibilità di vedere quel che magari le persone attorno non volevano vedere, sacrificandomi sull’altare degli interessi di qualcun’altro con la conseguenza di non poter esprimere quella grande sensibilità e rinchiudendomi in me stesso nell’impossibilità di questa espressione: la Vita avrebbe poi riportato l’argomento a galla e probabilmente più forte di prima.
Quel che sta accadendo adesso è il prodotto di quel che è avvenuto il passato, una causa remota ha scatenato le situazioni di cambiamento che attualmente ci ritroviamo a vivere, giorno per giorno, nell’incoscienza che soltanto noi abbiamo il potere di girare quel timone verso una direzione più costruttiva, iniziando dalle nostre vite, ritenute così “personali” da venir privatizzate come un forziere pieno di tesori chiuso a lucchetto nel frattempo che desideriamo sprigionare l’immensità dei mondi che portiamo dentro, in una società che richiede un Unità e disconferma tutte le impossibilità d’apertura verso il prossimo, i meccanismi di ri-creazione dei pregiudizi, unicamente legati alla paura d’espressione. L’unità è condivisione, ma questo già lo sapevamo, ed anche che quei vecchi schemi sui quali abbiamo costruito la nostra vita, spesso vuota e piena di giudizi sul prossimo (noi stessi), non avrebbero poi partorito i risultati sperati. Coraggio di sollevare i veli su quelle verità inconfessate ed inconfessabili che abbiamo sempre avuto bisogno di raccontare prima a noi stessi, senza utilizzare l’altro come giustificazione al perseguimento e realizzazione di quei sogni che sappiamo rendere felici soltanto noi: ma il sentimento di Unità ricorda l’Amore essere Universale, per questo dovremmo occuparci del nostro giardino segreto, coltivando più piante possibili, guardando alla soluzione cui tutti aspiriamo. Un altra difficoltà può essere legata alla forma, ma nel momento in cui comprendiamo questo grande insegnamento che può farci molta paura, ed ovvero che l’Amore non ha forma, ne colore, realizziamo anche un altra importante verità, sotto gli occhi di tutti da sempre ma mai contemplata, superficialmente nessun abito potrà mai dipingere l’essenza della persona e nessun corpo fisico potrà mai rispecchiare l’Animo della persona che lo veicola. Sono semplici verità che fanno una differnenza abissale nel momento in cui vengono accettate, ed accettare così realtà d’esistenza al momento inclassificabili, semmai potessero mai esserlo e scoprire l’improduttività dello stare a “classificare” ogni cosa possibile per il gusto di doverla “possedere” nella teoria e nella pratica di tutti i giorni: la Verità che unisce le persone non ha alcuna classificazione possibile agli occhi della mente, e non c’è l’hanno le differenti energie che caratterizzano l’essenza di ogni persona, benché l’esigenza umana sia quella di “far quadrare il cerchio”. Sei mai stato arrabbiato? In quali occasioni, e perché? Cosa ha scatenato quella rabbia furibonda che, a malapena, riuscivi a “controllare”? Cosa significa per te “perdere il controllo”? Cosa rappresenta per te la perdita di controllo? Quali pensi potrebbero essere le conseguenze per te stesso?
Mai più negare la nostra verità in favore di una legge esterna che impone la repressione ai nostri più alti ideali, la verità su quelle stesse cose che non abbiamo mai raccontato a nessuno se non all’inizio, quando familiari e parenti incominciavano a prosare parole, azioni assecondando così il desiderio di sentirsi più piccoli di qualcun’altro: chi era quel qualcun’altro? Quella legge nella quale credevano e che avrebbe dovuto garantire la massima espressione del loro innato potenziale ha finito per diventare una prigione a sbarre che non solo non avrebbe garantito la loro protezione (perché avrebbero dovuto trovarla da se), ma nemmeno il profondo soddisfacimento-riempimento di quel vuoto, quasi atavico, che avrebbero portato con se e trasmesso alle generazioni future. Tanto si è parlato d’Ascolto immaginando d’aver raggiunto e aver raggiunto così la soluzione all’origine del dilemma, sulla scia di percorsi paralleli o sul lavoro di quelle poche, pochissime persone che sono riuscite a guardare negli occhi provando a captare quel che l’altro serbava in profondità. Hai mai provato ad ascoltare le sensazioni che provavi nello stare con l’altro? Com’è nata la tua diffidenza verso il prossimo, chi o cosa ti ha trasmesso quest’incapacità di affidare le tue emozioni all’altro? Cosa succederebbe se la tua rabbia esplodesse in tutta la sua forza, magari improvvisamente? Quali pensi che sarebbero le conseguenze per te stesso?
E’ stata la Vita stessa ad insegnarci che all’alba segue il tramonto ed il sole splende anche dietro le nuvole, nonostante tutto, magari impiegandoci parecchio tempo per ri-assorbire le ferite dei condizionamenti passati, quegli stessi che hanno reso la percezione del mondo, ed ancor più della Vita, subdola e falsata, gettandoci nella rabbia e nello sconforto per l’impossibilità di trovare quel perduto senso alle cose, nel frattempo che trovavamo più funzionale ricavare dal giudizio altrui, tendenzialmente teso alla “difensiva” (propria), logorante e persistente, anche stancante, per le nostre orecchie che avrebbero invece desiderato ascoltare parole diverse dal solito, l’unica possibilità atta a soddisfare quell’assenza. La paura del giudizio dell’altro ha quindi trasformato la nostra vita immaginando di doverci “difendere” dalle sue parole e dalle sue azioni, perpetuando quell’antico meccanismo teso quasi sempre all’attacco per paura d’essere attaccati: in questa direzione si è mosso il mondo fino ad ora. L’impossibilità di espressione, sui condizionamenti altrui, purtroppo inevitabili, ha prodotto un senso di vergogna, interiore ed esteriore, arrivando a filtrare, misurare “fino al millesimo” persino le nostre stesse parole, le nostre stesse azioni. Parlare di giustizia, in questo senso e nel momento in cui sappiamo esserci una falla così profonda, facilmente risolvibile, guardando all’ironia che la vita stessa ricorda essere importante per il ritrovamento del senso comunitario, unicamente dall’accettazione di quella matrice unitaria, al di la di qualsiasi apparente differenza psico-fisica, non avrebbe alcun senso. Il giudizio che nasce dall’intolleranza verso il proprio mondo emozionale e inevitabilmente si rispecchia all’esterno, muove un altro aspetto chiamato “incoscienza” dell’altro e dei suoi bisogni: parliamo allora di accettazione di se stessi e della propria verità.
Trasmettere al prossimo un messaggio che ci appartiene e che parte dal profondo non è semplice nel momento in cui permettiamo ai vecchi condizionamenti di sbarrarci la strada verso la Felicità, utilizzando quel Coraggio che invece potremmo usare per perseguire quell’unico ideale che sappiamo inseguire da sempre, alimentando l’arma che tutti sappiamo far funzionare, ma sempre più disfunzionale alle energie d’Amore che stanno facendo ingresso nel nostro mondo.
Daniele Fronteddu