Al tavolo di lavoro tecnico convocato dal MISE sul processo di decarbonizzazione che coinvolgerà la Regione Sardegna Legambiente ha ribadito che occorre un programma stringente per conseguire l’obiettivo di zero emissioni nel 2050, che necessita il rispetto del phase-out che prevede che il carbone debba essere abbandonato nel 2025 .
Al tavolo oltre il Ministero, la Regione, i Comuni interessati dallo spegnimento delle centrali, sindacati, aziende energetiche operanti in Sardegna e le associazioni ambientaliste, tra cui Legambiente.
Per l’associazione sono intervenuti Katiuscia Eroe responsabile energia Legambiente nazionale e Vincenzo Tiana presidente del comitato scientifico di Legambiente Sardegna che hanno espresso i concetti che seguono.
La discussione, dopo la presentazione da parte del Mise di quello che sarà il processo di decarbonizzazione, é subito stata animata dalla proposta della Regione Sardegna, avallata da tutti i sindacati tranne quello di Base, che ritiene impossibile la realizzazione del phase out del carbone al 2025, chiedendone il posticipo al 2030 e la metanizzazione dell’isola come soluzione al processo di decarbonizzazione.
“La posizione espressa da Legambiente in questa sede é certamente nota. Non possiamo che sostenere il rispetto dell’impegno stabilito dalla SEN di cessare l’impiego del carbone entro il 2025, fermamente contrari non solo a qualsiasi slittamento dell’uscita del carbone, come proposto dalla Regione Sardegna e sostenuto dai sindacati, ma anche a qualsiasi progetto di metanizzazione che porti la Regione Sardegna nella preistoria energetica.
Appare del tutto anacronistico discutere oggi di questo posticipo se non fossimo di fronte ad una grave emergenza climatica, agli 11 anni che l’IPCC dichiara di avere di fronte per invertire la rotta e mantenere l’innalzamento della temperatura al di sotto del grado e mezzo, e di fronte alla reale opportunità di sviluppo e innovazione che la decarbonizzazione può portare in Sardegna e in tutti gli altri territori del nostro Paese. Un Paese colpito da oltre 400 eventi climatici estremi dal 2010 ad oggi, 15 quelli registrati in Sardegna. Con decessi, danni e disagi. Numeri che danno una chiara idea di quanto sia urgente agire subito verso una programmazione seria e concreta di decarbonizzazione, a partire dall’improrogabile uscita dal carbone al 2025 e tenga conto delle reali necessità nella fase di transizione, con progetti realmente utili all’Isola e del ruolo che le diverse tecnologie da fonti rinnovabili possono avere, oggi al 35% dei consumi elettrici, insieme a politiche di efficientamento del settore edilizio, terza voce di consumo nel bilancio regionale), di una mobilità sostenibile e di un serio piano industriale, innovativo.
La Regione Sardegna, proprio per le sue caratteristiche, fatte da eccezionali risorse paesaggistiche e ambientali, ha tutto l’interesse a valorizzare bellezze e vocazioni dei propri territori per creare opportunità di lavoro e di miglioramento della qualità di vita.
Ed oggi, è abbastanza chiaro che si ottiene pensando in grande, in modo coraggioso e lungimirante: ovvero pensando a serie politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili, a sistemi di accumulo e progetti innovativi come quelli che si stanno sviluppando in Oklahoma, dove per rispondere ai temi della flessibilità e dei picchi si pensa a mix di tecnologie per creare sistemi di produzione da fonti rinnovabili e accumulo da 300 MW o 700 MW.
Un po’ lo stesso disegno che servirebbe alla Sardegna, assieme al progetto del nuovo elettrodotto di collegamento con il continente – strategico se vogliamo chiudere le centrali a carbone e dare sicurezza all’Isola – e a forti e concrete politiche di sviluppo delle FER, di efficienza e di mobilità sostenibile che consentirebbero alla Regione Sardegna non solo di rispettare gli obiettivi al 2025 di uscita dal carbone, ma anche quelli di decarbonizzazione, limitando ad un breve periodo di transizione l’apporto della metanizzazione da sviluppare solo con i depositi costieri.
Non saranno 5 anni in più a cambiare le sorti delle centrali a carbone, mentre 5 anni e mezzo sono un tempo assolutamente sufficiente a sviluppare un piano energetico sostenibile, anche dal punto di vista sociale, e industriale necessario per rendere la Sardegna sempre più competitiva abbandonando ogni idea che rischia, invece, di rendere la Sardegna un territorio fragile e isolato rispetto a quanto accade nel resto d’Europa.
Quello di cui abbiamo bisogno per la Regione Sardegna è di un piano per la transizione, che preveda depositi costieri con minirigassificatori (che comunque andrebbero fatti anche nel caso della dorsale del metano), ma che una volta completati e in ottica di decarbonizzazione cesserebbero la loro utilità. Questi, infatti, risponderebbero in maniera temporanea – come deve essere – alle esigenze energetiche delle industrie, alle reti di distribuzione esistenti e in costruzione, alle esigenze di mobilità, trasporto pesante incluso, e delle centrali termoelettriche. Favorendo, al contempo, lo sviluppo di nuove filiere come quella del biometano che può arrivare a coprire il 4-6% dei fabbisogni attuali, delle altri fonti rinnovabili spingendo su una elettrificazione dell’isola, accompagnata dal potenziamento della interconnessione con il continente.
Non solo, ma dal 2021 al 2027 l’Unione Europea destinerà ingenti risorse proprio sui temi della transizione, fondi utili proprio per pensare a come riconvertire siti industriali, centrali e territori in un’ottica di uscita dalle fonti fossili. Fondi che possono essere destinati a progetti importanti di innovazione per la Regione Sardegna, e che ci auguriamo non vengano utilizzati per riesumare vecchi progetti che potevano avere senso 20 anni fa, come nel caso della dorsale o 10 anni fa come nel caso della riattivazione di vecchi poli industriali.
E certamente, se vogliamo pensare anche a creare migliori condizioni di vita, non si può prescindere dalle possibilità di creare nuovi posti di lavoro duraturi, in grado di generare sviluppo e opportunità anche per le generazioni future, é sempre al lato dell’innovazione che bisogna guardare. Bisognerebbe guardare alla Sardegna come ad un laboratorio di ricerca energetica, alla messa in sicurezza dei territori adattandoli ai cambiamenti climatici, avere coraggio e lungimiranza, scegliendo la lotta contro i cambiamenti climatici come prioritaria rispetto a qualsiasi altro progetto obsoleto e senza futuro.
Non si tratta di un percorso semplice, per rispettare la data del 2025 é necessario lavorare velocemente e senza sosta per poter sviluppare nell’isola sarda tutte le condizioni necessarie per lo spegnimento delle centrali. Una sfida di tutto rispetto, ma che, se portata avanti in ottica di decarbonizzazione, può portare solo benefici.
In conclusione Legambiente ha ribadito che occorre un programma stringente per conseguire l’obiettivo di zero emissioni nel 2050, che necessita il rispetto del phase-out che prevede che il carbone debba essere abbandonato nel 2025, una breve transizione con depositi costieri di gas metano GNL con minirigassificatori, No alla dorsale. In un contesto di forte crescita della produzione da energie rinnovabili che comprenda il potenziamento delle reti per cui l’associazione è favorevole al nuovo importante elettrodotto Sardegna-Sicilia-Continente proposto da Terna come misura ulteriore per compensare l’uscita dal carbone e migliorare la sicurezza della rete elettrica.Nel contempo si rivolge un appello alla Regione perché la transizione energetica e climatica non sia solo un necessario e stringente adempimento agli accordi internazionali ed al monito degli scienziati dell’IPCC, ma per l’isola possa diventare una grande opportunità di transizione sociale verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile con nuovi posti lavoro qualificati. Pertanto è necessario che sia animato un dibattito che coinvolga l’Università, i centri di ricerca, le aziende, le parti sociali, le associazioni per elaborare un ampio progetto che indirizzi le risorse della nuova programmazione UE con centinaia di milioni di euro per le comunità interessate al phase-out del carbone e riconversione delle aree industriali per creare lavoro attraverso investimenti in rinnovabili, efficienza e sistemi di accumulo.”