Accade adesso nello stare insieme agli altri, aprendo nuovi scenari di vita: non sporgersi per paura di cadere. Magari non abbiamo avuto molte opportunità di manifestare la nostra verità, oppure non abbiamo avuto l’accortezza di “afferrare l’attimo al volo“, per distrazione, disorientamento. Ora assecondiamo quegli stessi condizionamenti che hanno generato tale comportamento, la nostra paura, quasi con rassegnazione, indignazione. Pensiamo ancora esserci sempre qualcuno pronto a farci del male, leggere al di la delle nostre parole, delle nostre azioni con l’intenzione di minimizzare, minimizzando noi.
Entrare in contatto con l’altro significa, invece, cogliere l’opportunità per apprendere qualcosa di vantaggioso per se stessi, la propria formazione, la propria evoluzione, senza mascherare le proprie insicurezze, provare ad affidarle all’altro. La naturalezza dissolve ogni tentativo della paura depotenziando tutte le azioni disadattive che, in caso di rafforzamento, inevitabilmente, si spegnerebbero. Infondo, l’unica cosa che entrambi (io e l’altro) desideriamo è la possibilità all’espressione delle emozioni più intense, la Libertà. Guardare all’Amore mentre stringiamo tenacemente la cintura attorno all’emozione frena la possibilità all’espansione, la comprensione dell’altro, specie nei rapporti cosiddetti “sentimentali“. Si tratta di un concetto più restrittivo d’Amore, vissuto unicamente mediante i classici filtri percettivi che costringono alla circoscrizione, alla classificazione, alla privazione. Abbiamo coniato termini come marito, moglie, compagno, compagna, partner che si accomunano nel bisogno di riconoscimento di quest’energia. Siamo arrivati a pensare, secondo le nostre ed altrui esperienze, gli studi, la letteratura, personaggi presenti e passati, potesse trattarsi di un particolare sentimento, divisibile dall’amicizia, dall’affetto.
Amore è un termine molto restrittivo persino per la letteratura italiana, altrimenti definibile come “compassione” (profondo riconoscimento dell’Unità con l’altro), avvicinamento all’altro in maniera disinteressata, in assenza di qualsiasi condizione materiale ( esente da condizionamenti), in assenza di proiezioni che possano impedire all’essenza la manifestazione. Privare l’altro dell’avere equivale a privare noi stessi di quel che desidereremmo poter raggiungere, in partecipazione, di la dalle comuni convenzioni che prevedono l’uniformità del dare in favore della sottrazione – dare per ricevere, ricevere per dare, stabilire confini netti nel dare, nel ricevere – in questo modo, abbiamo creato una società nella quale l’assenza di Fiducia ha prevalso su una concezione umanitaria tesa al riconoscimento dell’Unità, per la parte spirituale, alla rivalutazione ed redistribuzione egualitaria, per la parte materiale. Mettere “ordine” al fine di contestualizzare (un bisogno che origina dalla separazione) quest’energia è disfunzionale alla ri-scoperta di quelle verità perse nel tempo che hanno bisogno d’essere diffuse, soprattutto Adesso.
Sapevamo l’Amore non essere quel che pensavamo e l’abbiamo dimostrato in più occasioni, attraverso diversi canali. I vecchi schemi familiari condizionati potevano sembrare funzionali ieri, mentre non lo sono più oggi, nel presente che contempla, sempre meno, precisi lineamenti. L’amore che tende all’etichettatura, alla classificazione, al fine di alimentare le forme non può definirsi tale: ma queste sono esigenze del vecchio uomo che necessita del fardello di un passato che non ha più nulla da raccontare. Guardare all’Amore con così tanta paura limita, di fatto, l’espressione del nostro profondo se e quanto di più prezioso potremmo dare all’altro, sotto tutti gli aspetti possibili ed immaginabili.
Quando è stata la prima volta che hai sentito parlare d’Amore? Cosa hai provato dentro nel sentire parlare d’Amore? Cosa provavi nel vedere le persone attorno scambiarsi gesti d’Amore? Cosa è venuto a mancare nella tua vita che pensi possa averti portato alla paura d’Amare? E’ questo il punto che non andiamo considerando, nella pretesa di amare con i nostri (dell’altro) antichi cliché. Ancora siamo convinti nel prescindere dalla piena espressione di noi stessi, ricorrendo a questa percezione dell’Amore? Tendiamo egocentricamente alla manipolazione dell’altro (le nostre stesse emozioni) per non mettere in discussione la nostra posizione, ritenuta “inattaccabile” (i confini invalicabili). Ma, in profondità, sappiamo anche dell’estrema fallibilità di quest’atteggiamento.
Il nostro obiettivo dovrebbe mirare sempre al benessere della collettività, ad iniziare dall’Ascolto del singolo, silenzioso ambasciatore di quei messaggi invisibili per negligenza: infondo, non sappiamo più Ascoltare per via di questa distrazione, e le posizioni più alte, ascrivibili al senso dell’onore, della protezione del prossimo, non sono ancora in grado di sottolinearne l’importanza. Anche in questo senso, tendiamo a concludere nel sacrificio, preferendo la nostra personale reputazione, il ruolo istituzionale, la carriera.
Il vero concetto d’Amore non può fare resistenza al vecchio, in quanto l’Amore non è resistenza, non contempla le imposizioni e non le pone in essere (cit. non possiamo ottenere l’Amore attraverso la forza). La società basata sul meccanismo dell’intimidazione, quale conferma all’assenza di un vero e proprio equilibrio, un armonia fra ragione e sentimento, sempre più disfunzionale all’intercettazione dei bisogni dell’altro, non può che riconoscere questa profonda carenza, riscontrabile cronaca come nella quotidianità di ognuno. La possibilità d’accettazione all’apertura verso un nuovo approccio diametralmente opposto al precedente. Accettare l’idea che soltanto un singolo inascoltato possa fare una grande differenza (giudizio e pregiudizio), corrisponde all’osservare l’intero sistema (microcosmo-macrocosmo): aiutare il singolo per aiutare la società. Sostenere l’altro ad iniziare dalle piccole cose rendendogli omaggio, gratificandolo nel caso sia riuscito a raggiungere un importante traguardo, Ascoltando la sua storia, la progressione delle esperienze, i mancati o riusciti tentativi di coraggio al superamento delle paure, alla libera espressione, soffermandoci più spesso agli episodi dai quali abbiamo da imparare, come l’incontro (scontro) con le convenzioni sociali (le nostre), è la cosa più bella che possiamo fare. La trasmissione a bambini e ragazzi dell’insegnamento alla Vera Libertà e all’altrui Riconoscimento, rappresentano una Vittoria per Tutti, un agognato traguardo, troppo a lungo rimandato, del quale tutti dovremmo andare fieri.
L’Amore del quale arriviamo persino a vergognarci, l’attenzione che non abbiamo avuto e sapevamo meritare al fine di quell’espressione, così importante per noi, rappresenta quella profonda mancanza dalla quale iniziare la ricerca. Nonostante tutto, avanti ad una parola, un gesto di violenza, dietro a tutti i bei propositi, ancora tendiamo alla restituzione del favore, del torto subito, restituendo così all’altro un immagine di noi che non corrisponde al vero.
L’Amore quale energia in grado di fluire al di la del tempo e dello spazio che noi cerchiamo, giustificando quella parte che desidera affondare la certezza nella materia, di etichettare, categorizzare. E’ significativo dare un volto alle emozioni, insignificante invece cercare di designare il termine Amore con presunta assolutezza, specie in mancanza di una vera e propria definizione – Perché dobbiamo classificare, etichettare, categorizzare ogni cosa? Se potessimo prescindere da tale possibilità, cosa rimarrebbe fra le mani? Durante la nostra crescita, per effetto dei condizionamenti soprattutto familiari, abbiamo guardato ai nostri pensieri, in relazione a questo sentimento, come a qualcosa da nascondere (il bambino che non ha avuto la possibilità di comprendere l’importanza della presenza dell’Amore nel mondo), le nostre concezioni come parte di una società che, in un modo o nell’altro, ha teso verso una limitazione all’espressione (disequilibrio ragione-sentimento, instabilità culturale, spirituale), del libero potenziale (forza centripeta dell’Amore). Perdere quella splendida grazia del saper ridere di se stessi, necessariamente fissando quei paletti al millimetro tra noi (con le nostre emozioni) e l’altro (le sue emozioni), ha impedito alla farfalla che eravamo di volare alta nel cielo della vita. Siamo così caduti nella mediocrità delle intenzioni, la logica dell’apparenza, priva di qualsiasi gradazione cromatica.
Ritenere qualcuno o qualcosa non degni d’attenzione, di considerazione perché, ai nostri occhi (agli occhi dell’altro che supponiamo conoscere) appare distante, riproduce in toto quella disarmonia interiore, specchio di quei vecchi condizionamenti che vedono la nostra presenza in completa separazione con quanto ci circonda. Una comune convenzione che vede ognuno proteso verso un estenuante ricerca conclusa fin dal principio: se presenti alla costante del passato e distratti da una vita sempre più lontana da noi, come possiamo scorgere queste sottili verità, apparentemente invisibili?
Daniele Fronteddu