Immaginiamo cosa possa significare per un bambino, un ragazzo, la Verità dell’Amore Incondizionato che sappiamo essere nostra, da sempre, ma che tendiamo a nascondere persino a noi stessi – perché questo ancora facciamo, mentiamo a noi stessi, cerchiamo una risposta esterna tesa ad insabbiare le nostre insicurezze, le nostre paure. Nel frattempo vorremmo realizzare il nostro personale senso di completezza (il senso dello stare insieme all’Altro) ma sempre ad esclusione di qualcos’altro, di qualcun’altro, in un continuo ciclo di inutili sofferenze, un circolo vizioso, una sorta di prigionia dalla quale, se non fosse per le comodità, qualsiasi essere umano tenderebbe ad evadere. Ancora, nella nostra società, e di questo mi stupisco, di fronte a situazioni “al limite“, “drammi inscenati sul nulla“, riversiamo molta della nostra energia, del nostro tempo, del nostro denaro, sempre e soltanto al fine di un riconoscimento più “esteriore“, improntato al compiacimento dell’Altro (l’adolescente che, per essere accettato all’interno di un gruppo, deve necessariamente apparire come i suoi consimili – il senso di appartenenza che tende alla discriminante), una sciocca illusione sul vuoto pneumatico che c’è dentro e che vorremmo riempire: sappiamo cosa fare, che stiamo aspettando?
Quello di cui vorremo parlare è soprattutto il pregiudizio, perché se ne parla davvero tanto, ma sembra nessuno riesca ad arrivare al capolinea: di fatto, per le nostre strade ancora continuano ad coesistere realtà pregiudizievoli, osservazioni, considerazioni, sguardi (i comportamenti delle stesse forze armate, lontane dalla promozione di una realtà alternativa, inadatte alla trasmissione di quest’importante evidenza, purtroppo, non sono un esempio di Umanità), pregiudizi sulle intenzioni (che nemmeno conosciamo – la conferma di un antico radicamento, quello della paura, a fronte di una profonda trasformazione che non tiene più conto delle consuetudini, delle sicurezze, ormai apparenti – possiamo superare la paura della perdita soltanto riconoscendo l’esistenza di questa stessa, sublimandola), realtà che contemplano ancora i cosiddetti comportamenti “pregiudizievoli” (l’errata concenzione del singolo in merito al termine Giustizia, la ricerca dell’ordine, il perfezionismo – un ordine non più funzionale ad un aggiornamento politico-istituzionale, nuovi paradigmi improntati all’accettazione dell’Altro, allo sfondamento delle vecchie ideologiche basate sulla paura, sul presunto “rispetto della Legge” quale tentativo teso all’arginamento del disordine – in realtà, un continuo ed inutile tentativo di aggirare le nostre paure più profonde, superabili soltanto mediante un atto di Coraggio, il nostro). Continuiamo a fraintenderci anche nello scritto, oltre che nel parlato, perché incapaci di riconoscere una verità che ci riguarda tutti e tutti allo stesso modo, nonostante le presunte differenze: cerchiamo una valida rappresentanza in grado di unire tutti i punti in un unica soluzione, utile per tutti, al fine di un riconoscimento più generale, ma in questo modo non possiamo certo privarci della possibilità che abbiamo sempre avuto, ovvero quella di valorizzare la nostra essenza in mancanza dell’altrui aspettativa – il mondo “dentro e fuori“, le differenze che si azzerano “dentro e fuori“. Cercare di valorizzare il punto di vista collettivo per sottrarsi al proprio riconoscimento, aggirando le proprie prove, non è una soluzione e non è d’aiuto all’Altro quanto avere il coraggio di manifestare se stessi facendo cadere l’altrui aspettativa, sganciarsi dalla dipendenza emotiva di qualcun’altro, di qualcos’altro.
Non esiste un unica Verità in presenza di un così forte dislivello nell’unione degli intenti, ma questa può essere trovata mediante l’unificazione, l’integrazione delle nostre parti in ombra (le parti in ombra dentro si riflettono nell’Altro, nel sistema sociale, giuridico, specchio delle nostre impossibilità, della nostra negligenza). Consideriamo quanto avviene nelle aule di Tribunale, uno “specchio perfetto” della nostra quotidianità, i banchi delle aule di Tribunale come banchi di scuola – un esterno preposto a giudicare il nostro operato, le nostre azioni, le nostre parole, qualcuno che può decidere per noi, può operare scelte che non siamo stati in grado di fare, una conferma al nostro bisogno di dipendenza dall’Altro – dobbiamo giustificarci con qualcuno (l’avvocato, il magistrato, il giudice, l’addetto alla sicurezza) perché “mancanti” di un baricentro comune. In posizione di dipendenza potremmo pensare ad una disparità, e in apparenza potrebbe anche sembrare, ma niente è come sembra, quindi: nessun vincitore, nessun perdente, soltanto un vuoto in entrambi – il sistema giudiziario è nato per seguire l’evoluzione dell’uomo, non il contrario, quindi perché dovremmo delegare a qualcun’altro un potere che pensiamo di non avere? Il potere esterno è forse in grado di darci la sicurezza che altrimenti non troveremmo dentro? Un illusione che necessitiamo di guardare in faccia. Nessuno potrà mai darci quel che desideriamo, la psicologia non è fuori dalle aule di Tribunale, e le dinamiche che desideriamo tenere così “lontane”… Ahimè, più vicine di quanto possiamo immaginare (l’arginamento del crimine, del reato, l’arresto come soluzione in presenza del forte dislivello da prevenzione primaria, secondaria, terziaria – la negligenza politica, istituzionale), sono qui – il diverso è Qui fra noi. Vogliamo quindi creare un mondo dove non esista diversità iniziando dalla semplice comprensione che quanto sta fuori è riflesso di quanto sta dentro, oppure continuare a reiterare le convenzioni mancanti di Umanità, mantenere la distanza con l’altro, alimentare un sistema politico-istituzionale, soprattutto giudiziario, per niente funzionale alla ri-scoperta dei princìpi universali?
Vogliamo un mondo libero dal pregiudizio quando noi, per primi, non riusciamo a dare fiducia al prossimo (l’eccesso verso noi stessi ad esclusione dell’Altro è significativo di un energia male incanalata): portiamo avanti la paura dell’altro, quella che ci è stata insegnata. Arriviamo all’accusa dietro l’offesa, all’insulto, all’ingiuria per mezzo del contrattacco sulla difensiva, al fine di proteggere la nostra personale concezione di Rispetto, ad esclusione dell’Altro – dalla paura dell’altro (che trasmettiamo ai bambini, ai ragazzi, trasmettendogli anche il rispetto per le convenzioni, il presunto rispetto che poggia sulla separazione, l’idea di mondo dal quale “difendersi”. Questa visione non differisce di molto dal farsi valere mediante la prevaricazione, la violenza nella parola, la stessa parola utilizzata sempre in direzione dell’autodifesa, la difesa dal mondo – quella stessa che stiamo debellando dalle scuole, quella che le istituzioni, la politica, la giustizia, le forze armate “combattono” attraverso campagne di sensibilizzazione, operazioni su strada) e desideriamo, al contempo, poter trovare nell’altro un amico, un confidente: vorremmo che tutti ci capissero, vorremmo entrare in contatto con l’altro ad un livello più profondo (il Senso di Umanità che, mi stupisco, ancora tendiamo a rifuggire), riconoscere nell’altro noi stessi, i nostri stessi interessi (princìpio di Condivisione), senza sforzo o con poco sforzo (i bambini questo lo sanno, ma vivendo in una società dove la menzogna è parte del sistema vengono “presi per mano”, “direzionati” a dimenticare – la paura e l’assenza di una strategia ad ampio raggio hanno posto limiti alla libera espressione ed incentivato l’aumento della paura. Questa proposta di arginamento, lontana dai princìpi universali e più vicina ad un ordine ottenuto con la forza, non rappresenta la soluzione al raggiungimento dello scopo, soprattutto nell’ottica di riscoperta di quell’Umanità che pensiamo conoscere, contemplare – non soltanto stiamo dimenticandoci di noi stessi, ma anche e soprattutto del contatto con la natura dal quale proveniamo, la nostra interiorità).
Stiamo cercando una soluzione che abbiamo già fra le mani, già conosciamo e possiamo soltanto iniziare a sperimentare guardando a noi stessi in relazione al mondo: Cosa può darmi l’Altro che non riesco a dare a me stesso? Perché dovrei dare all’Altro qualcosa che non riesco a dare me stesso? Quanto è importante l’Altro al fine della realizzazione dei miei desideri? Soprattutto: Cosa sto nascondendo all’Altro, alla Società? E se la mia concezione dell’Altro, della Società, del Mondo fosse basata sulla paura di perdere i miei possedimenti, le mie appartenenze? A cosa mi sto aggrappando per non cadere? Cosa è più importante fra quanto mi appartiene e il bisogno dell’Altro? La concezione di libertà presunta, creata su misura per rispondere ad un sistema che, probabilmente non è nemmeno interessato a guardare l’apparenza, ma soltanto alla conoscenza, finisce per dissolversi in un nulla di fatto. L’Altro che desidera conoscere quel che sono (il mio desiderio) nel “rispetto” di determinate convenzioni atte soltanto alla divisione non rappresenta la verità d’intenti perché lontana dall’essenza della libertà, disfunzionale al Riconoscimento del nostro più profondo – il bisogno di Riconoscimento dell’Unità con l’Altro – le considerazioni pregiudizievoli dell’Altro, i contesti diventati “barriere” alla libera espressione dell’Amore – tendiamo a credere si stia parlando di infrazione alle convenzioni, mancanza di rispetto soltanto per giustificare una verità molto semplice, la stessa che andiamo cercando di giorno in giorno negli occhi dell’Altro, perché non abbiamo ancora compreso cosa sia realmente il Rispetto – tendiamo a voler ingannare l’Altro quando, in realtà, stiamo soltanto ingannando, per paura, noi stessi e finiamo per Rispettare quel che sta fuori in relazione a quanto sentiamo importante per l’Altro, sacrificando noi stessi, nell’illusione di una vita il più possibile vicina e lontana da lui (il paradosso – l’aspetto di mediazione, divisorio, separativo della Giustizia così concepita – il sistema giudiziario che non può rispondere al nostro bisogno di Riconoscimento, ne può contemplare il princìpio primo di Umanità, dal quale deriva il Vero Rispetto dell’Altro) – un altro ciclo dal quale abbiamo necessità di liberarci = il bisogno di riconoscere nelle convenzioni limitanti, la “regola” materna, protettiva, una madre severa e punitiva (la concezione usuale, convenzionale di Giustizia) diventata una barricata all’espressione dell’Amore, fautrice di un mondo illusorio, paradossale, creato sulla mancanza d’Amore e sulla distanza con l’Altro come necessità, quasi imprescindibile, alla realizzazione personale – quante altre conferme ci serviranno per renderci conto che l’Altro è il nostro riflesso? Non ci rendiamo conto dell’ossessività, dell’oppressione dei nostri pensieri, i nostri atteggiamenti impauriti da una convenzione che pensiamo non poter cambiare, la nostra concenzione del mondo chiusa entro quattro mura domestiche, il “quadrato”, che andiamo trasmettendo ai nostri ragazzi che, invece, avrebbero bisogno di essere incoraggiati all’espressione della Verità dell’Amore? Ma questo discorso vale per tutti, noi compresi – non siamo fuori dal meccanismo, ne possiamo ritenerci “arrivati” soltanto perché “possediamo” quattro stellette sulle spalle, una laurea ad honorem: proprio queste prerogative hanno fatto in modo si alimentasse il ridicolo meccanismo dell’autoimportanza, autoaccentramento, convergenze degli interessi esteriori al singolo, il subdolo meccanismo di riconoscimento esteriore teso all’annullamento del bene collettivo, in questo senso abbiamo proteso verso condizioni di vita sempre più lontane, oltre che dall’intimo senso dei princìpi universali che andiamo promuovendo, dal senso di cooperazione dello stare Insieme, se così non fosse vedremmo molto più interesse, da parte delle stesse rappresentanze politiche, militari, nei confronti delle persone in estrema povertà, di la da ogni differenza – Come possiamo lamentarci del disagio sociale se noi, per primi, manifestiamo, spontaneamente, la nostra esistenza nel mondo? Cosa possiamo aspettarci dall’esterno se non prendiamo iniziativa con noi stessi?Cosa andiamo cercando nell’Altro che non riusciamo a dare a noi stessi? Continuiamo a cercare la risposta all’esterno di quanto non viene individuato all’interno: il ragazzo che viene bullizzato a scuola, dai propri compagni di classe, è soltanto la conferma di un sistema scolastico-istituzionale assente di un baricentro (non di alternative, non di figure professionali competenti, come spesso andiamo a raccontare in giro). Per far sì che nessuno si senta escluso non abbiamo alcun bisogno di attribuire colpe, surrogati di colpe, di nessun genere, ed in questo senso diffondere, quanto più possibile, l’importanza del Vero significato terminologico di Giustizia. Attraverso la menzogna non possiamo realizzare ne il nostro intento, ne quello della collettività, ovvero la Riunificazione degli Intenti in un unico colore. La libertà come liberazione dalla paura mediante il riconoscimento, l’affidamento sulle proprie forze, di se stessi a prescindere dall’altro, dalla sua aspettativa, dalla “pretesa” che immaginiamo venire dalle convenzioni sociali, dal concetto di ordine al quale tendiamo ad aggrapparci al fine di giustificare le nostre mancanze.
Pensiamo di non avere risposta alle domande dei bambini, dei ragazzi, e le cerchiamo all’esterno, nelle istituzioni, ancora nelle convenzioni sociali, negli stessi condizionamenti che ci hanno reso quel che siamo oggi – ma siamo parte residuale di un sistema antico con una grande opportunità, quella di un cambiamento senza precedenti, importante e sempre più indispensabile in una società come quella odierna: il nuovo mondo non potrà contemplare la paura, la diffidenza, il desiderio di autoaffermazione sganciato dall’Altro (il nostro riconoscimento soltanto per mezzo dell’esistenza dell’Altro, semmai l’integrazione della ricchezza dell’Altro mediante il nostro stesso riconoscimento, la consapevolezza di quel che siamo, quanto possiamo dare al prossimo – il Senso di Unità, la coscienza di essere Uno con il mondo). Ormai sappiamo le certezze non esistere più, la Giustizia non è un rifugio, i punti di riferimento vengono, finalmente, a mancare.
Il fraintendimento nasce nella mente che, da sola, crea il dubbio, l’illusione, la separazione, ed è questo che dobbiamo trasmettere, sopra ogni cosa, ai nostri ragazzi, una sicurezza che non può arrivare dall’esterno, la sicurezza che profonda nella forza dell’Amore, la Fiducia in se stessi, solo secondariamente il concetto di Rispetto che passa dall’accettazione di se stessi, della marginalità, della scomodità dei condizionamenti (sociali, istituzionali, giuridici – le rappresentanze politiche che non possono garantire l’espressione della Libertà – il sistema così concepito, che somiglia quasi ad un vortice, mancante di un punto mediano), il vero lavoro è molto più semplice di quello che può sembrare e non è esteriore. La prima menzogna che passa dalla non accettazione di se stessi trova conferma in un sistema sociale ancora impossibilitato a questo Riconoscimento: una verità così evidente che non vuole essere vista, una semplicità che fa paura (la semplicità dell’Amore – sarebbe inutile dire che la legge così concepita promuove l’integrazione e non sottintende la separazione). In un mondo dove tutti dicono quello che vogliono ma dove anche la stragrande maggioranza ha paura del prossimo, come possiamo parlare di libertà? No, sussiste qualcosa come l’utilizzo della violenza, la coercizione, la tendenza al controllo, alla repressione, la mancata collaborazione ed il confronto fra parti, concezione assai lontana dal Princìpio di Umanità, lo stesso che viene citato nella stessa costituzione. Siamo molto seri parlando di legge e lo diveniamo, ancora di più, per paura dello sconosciuto, di quel che non riusciamo a conoscere perché non vogliamo riconoscere: in questo modo attribuiamo le etichette, classifichiamo qualsiasi cosa nell’intento di comandare quel che non conosciamo. Il problema nasce nel momento che vediamo tutte queste cose crollare, inevitabilmente, davanti alle continue conferme sociali, davanti a omicidi, suicidi, maltrattamenti che ci raccontano il disagio delle persone, la sofferenza dovuta alla non accettazione di se stessi, di quel che considerato come “diverso“, in realtà quel che ancora non conosciamo, oppure che rifiutiamo di conoscere. Immaginiamo che scrivere un trattato giuridico o social-culturale sia così importante quando, a conti fatti, lo buttiamo nell’angolo di una biblioteca o sullo scaffale di una vecchia libreria a fare polvere: in questo modo tendiamo a dimenticarci dell’unica cosa veramente importante per tutti (per noi), della nostra verità, della verità dell’Amore che non conosce confini, barriere di nessun genere e che non rappresentiamo se non per mezzo dei classici filtri, sempre meno funzionali – non siamo ancora stanchi, non ne abbiamo abbastanza? Per quanto ancora abbiamo intenzione di mentire a noi stessi? Un gioco dal quale soltanto noi possiamo decidere di uscire, un circolo che possiamo interrompere per mezzo della nostra volontà.
Ed è proprio la paura dell’Amore in grado di far crollare la Dualità che viviamo: è importante condividere questo sogno insieme all’Altro nell’unione di intenti. Non c’è alcuna soddisfazione personale nel vedere che l’altro sta soffrendo come e forse più di noi, mentre sulla stessa barca ci chiede aiuto per continuare a remare insieme a lui, il momento del bisogno del quale non ci accorgiamo per semplice negligenza. E affidiamo alle parole di un avvocato, alla sentenza di un giudice la possibilità di decidere del nostro, del futuro dei nostri figli, del futuro delle nostre relazioni, nel momento in cui non sappiamo più, perché ci siamo dimenticati del nostro essere umani? Può forse la Giustizia ricordarci il senso di Umanità? No, sta a noi.
Il pregiudizio che affonda in profondità potrebbe non essere direttamente collegato alle convenzioni sociali, alle consuetudini, alle contestualizzazioni, ai condizionamenti, quanto fare a capo alla mancanza d’Amore, all’impossibilità nel Riconoscimento di quella forza, quell’energia che tutto pervade, che alimenta le nostre stesse vite, dal momento in cui la mattina ci alziamo per andare a lavoro al momento in cui la sera, stanchi e stremati dall’intensa giornata, lunga ed impegnativa, ci addormentiamo: l’accettazione dell’Amore in noi, la possibilità di quest’integrazione interiore (mai avvenuta in passato), l’Amore per noi stessi o la dedizione all’Amore stesso, corrisponde all’accettazione di tutto ciò che sta al di fuori di noi, le differenze che sembrano non esistere più, semplicemente perché non ce ne occupiamo più, non le guardiamo, non ne abbiamo più bisogno. Non è un caso che nelle istituzioni la presenza di Amore (mancata comunicazione fra mente e cuore) sia poco contemplata: questa è un altra grande sfida per tutta l’umanità, arrivare a questa comprensione segnerà, per sempre, tutte le relazioni interpersonali, l’abbattimento delle maschere nel rapporto pubblico-privato, la vita istituzionale, il sistema arcaico che fonda sulla separazione (allontanamento dalla natura dell’Amore).
Forse abbiamo avuto paura di essere veramente liberi, ritornare a quel senso di unità che stiamo rincorrendo tutti i giorni della nostra vita, cosa stiamo temendo per davvero? Da cosa stiamo fuggendo realmente? Vogliamo entrare in contatto con l’altro oppure desideriamo stare soli, continuare a selezionare per paura di perdere qualcosa di noi, i nostri affetti, i nostri possedimenti? E’ così semplice affidarsi all’altro che non riusciamo più a farlo: quando eravamo bambini riuscivamo ed ora, per via delle convenzioni sociali, dei condizionamenti che non riusciamo a lasciar andare (che vorremmo lasciare definitivamente), rimaniamo imprigionati in vite quadrate spesso con le solite quattro canzoni monotone che non raccontano più nulla, non hanno più niente da dirci – il passato ormai andato finisce per diventare la nostra quotidianità, il nostro presente.
Limitando noi stessi stiamo limitando l’Altro, il mondo diventa allora un continuo limitarsi, non c’è possibilità d’espressione – la prima impossibilità all’espressione che, in realtà, esiste soltanto per mezzo della nostra percezione (basata su questa inutile paura), ha origine dalla concezione comune di Rispetto, sbagliata fin dall’inizio: i termini legislativi sono purtroppo oppinabili e, purtroppo, non viaggiano che parallelamente al princìpio di Umanità del quale stiamo parlando in questo articolo (vedi commenti alle leggi).
La libertà è tutto, e la concezione di separazione, anche favorita dalla stessa legislazione che va riformata strutturalmente, non dà questa possibilità, spesso perché interpretata ad un livello di paura che non ci appartiene, come non appartiene alla stessa giustizia che, così concepita, rimane lontana dal bisogno di espressione dell’essere umano. Il sistema va cambiato, ma il sistema inizia da noi, in noi, non possiamo trovare alibi nell’altro continuamente con il fine di giustificare i nostri interessi: dov’è l’aspetto di mediazione? La semplicità è parte di noi, è la vita stessa che non riusciamo a vedere accecati dalle nostre stesse paure, la paura che qualcun’altro possa farci del male, possa farci perdere il lavoro, la paura che si trasforma in dipendenza dall’Altro, dall’immagine ritagliata sull’aspettativa dell’Altro. Quindi, mentre giriamo nel mondo torniamo, continuamente, a fare i conti con le nostre stesse paure a capo della mancata Fiducia (in noi stessi). Intanto bambini e ragazzi apprendono da noi, da un sistema ricco di paradossi che sembra voler fare ma, di fatto, non riesce a fare niente di concreto per “liberare” noi da un concetto di ordine che diventa sicurezza, che si trasforma in separazione dell’altro. In questo modo non facciamo altro che delegare al sistema giudiziario una possibilità che, dal principio, abbiamo noi, come protagonisti della nostra stessa vita: la Giustizia non può garantire il nostro bisogno di riconoscimento e, di fatto, non può liberarci dalle nostre paure, men che meno le forze dell’ordine che possono soltanto continuare ad applicare la legge allo stesso modo di un avvocato, di un magistrato, di un giudice. Il sistema Giustizia non può farsi carico di un lavoro che spetta a noi, in prima persona: la società siamo noi e siamo noi a doverci occupare di noi stessi, per non ricorrere più all’alibi della giustizia, dell’accusa, della difesa ancora per giustificare le nostre mancanze, le nostre paure. Tutte le paure si dissolvono grazie alla Fiducia, ma quanti di noi conoscono ed utilizzano questo termine nella nostra quotidianità? Non ci siamo ancora resi conto di quanto sia importante il nostro esempio per le future generazioni ne ci siamo resi conto di quanto siamo importante per noi, per la nostra crescita personale, lavorare sul concetto di Fiducia, l’abbandono dei Condizionamenti familiari, parentali, del passato. Guardiamo alla quotidianità: non ci rapportiamo più all’altro, al vicino di casa, al cassiere, al passante in mezzo alla strada, e lo consideriamo uno “sconosciuto” perché tendenti alla distrazione del momento, alla consuetudine, alla diffidenza – Questo insegniamo ai nostri figli, i bambini che continuano ad inviarci segnali, smentirci ad ogni nostra parola. Questo stiamo insegnando al bambino nel tentativo di trasmettergli la nostra personale visione di mondo lontana dal concetto di Unità, dalla Verità dell’Amore, il nostro stesso stare al mondo. Ci siamo forse dimenticati che stare al mondo significare condividere, a prescindere dai canoni sociali, o vogliamo ancora spostarci per la strada guardando all’apparenza? Ancora vogliamo portare avanti questo inutile gioco? Rispettiamo quelli che consideriamo canoni che sappiamo essere lontani dai nostri stessi desideri (spesso insoddisfatti dalla presenza di quel vuoto interiore) in quanto non rispondenti a quel che cerchiamo veramente, da sempre, infondo… il dissolvimento di quel vuoto che ha caratterizzato, che caratterizza spesso la nostra vita, ancora oggi: il vuoto di significato dell’Altro, la nostra ricchezza.
E’ molto importante continuare a porsi le domande, per darci la possibilità di trovare le risposte senza più delegare il terzo giudicante, magari più competente in termini culturali, magari assente in termini più “spirituali“. Dobbiamo arrivare a comprendere il senso di unità che non nasce dal confronto, quanto dalla comprensione, dalla consapevolezza, dentro.
Ringrazio di cuore tutti i lettori sperando che dai miei messaggi abbiano potuto ricevere moltissimo Amore. Vi auguro di trovare nella vostra semplicità la vostra verità e che possiate viverla in condivisione con il prossimo, la soddisfazione che può venire soltanto dall’accettazione di voi stessi, della libertà che sapete essere vostra a scanso delle convenzioni inesistenti, delle idee, delle visioni che convergono, sempre, ad un unico punto.
Daniele Fronteddu