Ancora pochi giorni di tempo per visitare “Sardegna e altri continenti (1967-1977)”, l’importante retrospettiva dedicata al lavoro del grande fotografo Fausto Giaccone realizzata nell’ambito del Festival internazionale Isole che Parlano di Palau – la cui XXIII edizione si è conclusa lo scorso 8 settembre –
e ospitata fino al prossimo 30 settembre negli spazi del locale Centro di Documentazione del Territorio (orari 10:00-12:00 e 17:00-20:00).
Inoltre, per tutte le scuole del territorio, è ancora possibile iscriversi alle visite guidate “Il suono dell’immagine” a cura di Nanni Angeli (per info e prenotazioni c. +39 339 1459168).
La mostra – che espone circa settanta immagini in bianco e nero, realizzate in Italia e all’estero, con stampe, da negativo e digitali, di varie dimensioni – presenta alcuni scatti inediti e si articola in un percorso originale che espone i lavori più importanti dei primi dieci anni di attività dell’autore, gli anni della passione più fervida, di un fotogiornalismo “militante” e strettamente legato alla cronaca dell’inquietudine di quel periodo.
Toscano di nascita, Giaccone si forma a Palermo e arriva a Roma nel 1965 per terminare gli studi di architettura. Qui, nel ’68, con l’esplosione del movimento studentesco, la fotografia diventa una scelta di vita e una professione: sono, infatti, quegli avvenimenti a fargli capire che ciò che gli interessa è “documentare per la storia”.
In questi anni Giaccone viaggia molto in Italia e all’estero sempre spinto da quella curiosità e da quel dinamismo che caratterizzarono quel periodo, realizzando diversi servizi sociopolitici: prima il terremoto nel Belice, poi gli episodi chiave delle lotte del movimento studentesco romano, trascorre due mesi in Egitto e Giordania per il primo servizio mai realizzato sui fedayn palestinesi, e segue le rivolte nei comuni barbaricini in Sardegna.
La mostra in corso a Palau si sviluppa su due differenti nuclei tematici – come evocato dal titolo – ed è arricchita da un altro corpus di 9 opere tratte da “Macondo, il mondo di Gabriel García Márquez” e realizzate nel 2010.
Un decennio raccontato con una fotografia di reportage composta, non sensazionalistica, talvolta misuratamente ironica, sempre attenta ai contrasti, in qualche modo classica e rispettosa, in cui il contesto fa spesso da sfondo, ed è l’essere umano il centro, sempre.
Sardegna. Nei lavori realizzati in Sardegna in quattro distinti viaggi, tra il ’68 e il ’76, Giaccone documenta aspetti specifici dell’isola, movimenti storici “locali” che si legano però inequivocabilmente a quanto in quel decennio (1968/1977) sta accadendo in tutto il mondo occidentale.
Nella selezione presentata a Palau emerge nettamente l’immagine di un’isola in transizione, in cui usi e costumi tradizionali, ancora molto presenti, si intrecciano con gli elementi di forte cambiamento propri di quell’epoca.
Le immagini raccontano di tensioni e disagio sociale, di forte impegno politico “rivoluzionario”, di proteste legate alla specificità sarda (il ’68 in Barbagia, a Orgosolo, Orune, Bono e Nuoro), dell'”autunno rosso dei pastori”, come titolava il settimanale L’Astrolabio diretto da Ferruccio Parri che aveva inviato Pietro Petrucci e Giaccone a documentare le proteste nel nuorese. Ma anche di una “colonizzazione” industriale iniziata male (e col senno di poi finita presto e peggio), con la SIR di Porto Torres fotografata nel 1969, meno di dieci anni prima della chiusura dell’impianto che avrebbe lasciato dietro di sé una catastrofe ambientale e sociale, e di proteste pacifiche contro le servitù militari nell’agosto del 1976 contro la base USA di Santo Stefano a La Maddalena e a Orgosolo.
Nello stesso tempo, però, in due distinti reportage realizzati nel 1975 Giaccone ci racconta due momenti comunitari molto importanti – la Fiera regionale del cavallo a San Leonardo de Siete Fuentes, e una tosatura a Testone, vicino a Nuoro – in cui è ancora molto evidente, soprattutto nei costumi, “la transizione” tra un presente “locale” e uno “globale”, ma in cui traspare anche in modo chiaro il legame molto forte che l’isola mantiene con la propria cultura agropastorale, con la terra.
Altri continenti. E proprio dalla terra riparte il fil rouge che collega la Sardegna agli altri continenti. La terra turbolenta, che si muove, di cui si rivendica la proprietà e la libertà: in Sicilia con la commemorazione ventennale della strage di Portella della Ginestra (1967) e nelle immagini del terremoto del Belice (1968), in Giordania con le immagini dei fedayin del Fronte Popolare di Liberazione Palestinese (1968), in Portogallo con le occupazioni contadine dei latifondi del Ribatejo l’anno successivo alla rivoluzione dei Garofani (1975), per finire con alcune immagini della Bolivia (1976) e in particolare una cerimonia a Tiahuanaco in onore della “Pacha Mama” (Madre Terra).
Ma in mostra ci sono anche le immagini di un decennio turbolento e rivoluzionario in Italia con la battaglia di Valle Giulia, le assemblee universitarie e le manifestazioni (1968/1969) una fase in cui la partecipazione di Giaccone è molto vicina alle posizioni delle realtà fotografate. Nell’estate del 1970, in Gran Bretagna, cerca di raccontare la trasformazione epocale che attraversa il Paese in quel breve arco di tempo, mostrando aspetti della Londra più tradizionale e, per contrasto, le immagini realizzate tra il “popolo” dei 600.000 giovani che invase l’Isola di Wight per quella che sarà l’ultima edizione del festival musicale, risposta europea a quello di Woodstock dell’anno prima.
Si ritorna poi in Italia con le foto del Festival del proletariato giovanile al Parco Lambro (1976) e degli “indiani metropolitani” che manifestano contro la centrale nucleare di Montalto di Castro (1977), coda “creativa e felice” del movimento, in un paese che sta per scivolare negli “anni di piombo”.
Infine ancora la terra, con i minatori Boliviani di Potosì. Una conclusione e un lancio verso la sezione (fuori tema) di Macondo.
In “Macondo” lo sguardo di Giaccone sulla Colombia, più maturo e poetico, si discosta da un taglio di foto-reportages classico e segue un proprio percorso personale che si addentra nel mondo del grande scrittore, nei luoghi della sua vita e in quelli dei suoi romanzi, diventando un racconto per immagini “di quel microcosmo umile e minuto che mi circondava e nel quale tuttavia riconoscevo senza ombra di dubbio la grandiosa allegoria della storia universale che tanto mi aveva affascinato in Cent’anni di solitudine”.