Nello specifico sarebbero otto tipi di impianti mammari testurizzati ‘macro’ e ‘micro’ che dovranno essere ritirati e saranno proibiti per i prossimi sei mesi, mentre i produttori dovranno affrontare «diversi problemi di sicurezza e di performance» ha annunciato l’ente regolatore.
La misura è stata suggerita da crescenti preoccupazioni su legami fra certi tipi di protesi e una rara forma cancro nota come Breast Implant-Associated Anaplastic Large Cell Lymphoma (BIA-ALCL). La misura fa seguito a indagini esaustive e circa 700 casi confermati nel mondo, di cui 107 in Australia, del raro tumore del sistema immunitario, che si sviluppa nel fluido e nel tessuto cicatriziale attorno agli impianti. Quattro donne sono morte in Australia e una in Nuova Zelanda.
Ogni scorta presente nel mercato sarà ritirata durante il periodo di sospensione, comunica l’ente, che tuttavia non arriva a raccomandare la rimozione delle protesi, se la persona non denuncia sintomi o preoccupazioni. Il provvedimento è stato ben accolto dal presidente dall’Australian Society of Plastic Surgeons Gazi Hussain, che l’ha definito «sensato e misurato», riconoscendo che «minimizza il rischio per le donne che richiedono protesi al seno, mentre assicura che non siano limitate le opzioni per le donne che richiedono chirurgia ricostruttiva dopo un cancro al seno».
Si tratta di una notizia sconvolgente, sottolinea Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, che da anni ha avviato in Italia una battaglia dopo lo scandalo già noto delle protesi PIP, anche se questa volta non è dato sapere che tipo e la natura delle protesi per le quale sarebbe stata scoperta una possibile connessione con il cancro. Ecco perchè è importante che le autorità sanitarie, non solo australiane, facciano immediata chiarezza per sgombrare il campo da qualsiasi tipo di allarme dato il numero impressionante di donne che per ragioni di salute o estetiche hanno dovuto ricorrere all’impianto di protesi mammarie.