Presentare il libro di Annino Mele non è solo un piacere personale. E’ un dovere morale e una responsabilità nell’interpretare, attraverso la storia tormentata dell’ex latitante, l’accanimento della giustizia italiana nei confronti del nostro popolo di pastori. Il “Marchio del Bandito” non è mai stato di moda nella criminalità italiana. I rapinatori sono rapinatori, i rapitori sono rapitori, i ladri sono ladri. Il “bandito” deve essere sardo e pastore. Se il bandito non esiste, va costruito. La società pastorale sarda, per gli esercizi della Giustizia italiana, è da sempre una palestra.
La storia dolorosa di Annino Mele nasce dall’ingiustizia e dalla discriminazione. Al di là dei reati commessi e di quelli attribuiti, “Il Marchio del bandito”, un percorso di vita scritto senza condizionamenti, apre il dibattito sui rapporti di stampo coloniale tra Stato e Sardegna. Il disagio del dopoguerra, la scuola, la chiesa, i carabinieri, non danno scampo a un bimbo di 4 anni su cui costruire il destino, quello di “bandito sardo”.
La diffidenza di Annino nei confronti dello Stato trova radici nel 1955 con la strage di San Cosimo di cui suo padre fu accusato, incarcerato e liberato dopo alcuni anni per innocenza.
Alimentare il fenomeno del banditismo in Sardegna è stato utile a deragliare l’attenzione dalle razzie delle nostre risorse e dall’occupazione militare e industriale dei nostri territori.
Ma tutto ciò non era crimine.L’immagine di Annino Mele merita di essere riletta, innanzitutto da noi sardi, fuori dalle aule dei Tribunali. Senza entrare in merito ai compiti della Giustizia, che a mio parere, Annino non sempre ha voluto combattere, per la consapevolezza che i rapporti di forza tra le sue verità e quelle di chi il “bandito Mele l’ha costruito” non sarebbero mai stati a suo favore.
Ma c’è un tempo per tutto, anche per un sardo condannato all’ergastolo, per raccontare la verità, dopo aver saldato alla giustizia italiana tutti i conti, il dovuto e il non dovuto.
Annino Mele, chiede che la sua storia venga “riconsiderata” e liberata dall’infame Marchio del Bandito.