L’imponente installazione proposta da Franco Marrocco, pensata appositamente per lo spazio della galleria, ripropone il dialogo tra piano pittorico, aggetti architettonici con inserimenti scultorei in bronzo e l’oggetto nella sua dimensione quotidiana.
Il punto di forza – scrive Massimo Bignardi (curatore della mostra) – che possiamo registrare, in questi ultimi grandi dipinti che l’artista ha inscritto nel ciclo “l’Eco del bosco-H2O”, tra questi la grande installazione proposta nel Padiglione della Repubblica Popolare del Bangladesh dell’odierna Biennale di Venezia, è il tempo che tiene insieme l’attesa e l’epifanico apparire dell’immagine. Un tempo di riflessione e, al tempo stesso, di affermazione dell’istinto, non in contrapposizione, bensì rispondente a una catarsi che il pensiero mette in essere, poggiandosi, momentaneamente, in un luogo dell’invisibile mondo.
Ciò accade in uno spazio pittorico che, seguendo la partizione dei piani pittorici a mo’ di retablo, ospita fondali carichi di ombre qua e là accesi da bagliori di una galassia sconosciuta, di impronte lasciate da rami, da corpi scultorei che si insinuano negli incassi costruiti e concepiti come luoghi di pausa (ove nascondersi dal tempo): luoghi non del bosco, ma dall’eco che agita la coscienza dell’artista.
L’architettura irregolare della tela, organizzata secondo un’articolazione plastica dei piani e delle ombre, così il ripreso impianto cromatico, ora nuovamente denso di velature brunite e rossicce, fino al ricorso a una prospettiva lasciata libera di muoversi tra apparenza e realtà (l’oggetto nella sua natura di presenza), richiamano due caratteri essenziali di un’identità propria della pittura italiana.
L’evidenza maggiore è data dalla qualità della pittura, della sua grammatica e, innanzitutto, della sintassi compositiva. Qualità che, sin dalle prime opere, ovvero quando l’artista guardava al realismo espressionista, mediato da suggestioni tratte dai registri della Nuova figurazione (penso alle tele dei primissimi anni Ottanta), ha cifrato la sua esperienza. È un dettato di identità che si manifesta anche nella ripresa di un’astrazione lirica, propria della pittura italiana dell’immediato secondo dopoguerra, con palesi inclinazioni sul versante dell’informale.
Si colloca dunque qui la scelta, non di secondo piano, di aderire a un processo proprio delle avanguardie che hanno segnato l’arte del XX secolo: un processo, a mio avviso, che non è stato interrotto dalla condizione postmoderna, da una stagione per fortuna lasciata alle spalle.
Marrocco, dopo aver azzerato gli spessori di colore, sensibilmente presenti nei dipinti ancora della fine degli anni Novanta, ha iniziato a riflettere sul come offrire allo sguardo una molteplicità di piani e quindi di spazi, ricorrendo all’illusione dettata dalla velatura, dal cristallino sovrapporsi di strati di pittura trasparente. Tutto ciò non è bastato; ha compreso come andare oltre e l’eccezionale tela “L’eco del bosco, H2O, reperti” che espone sulla grande parete della galleria a Latina, sporgendosi verso l’esterno di essa, ne è la riprova. Essa ci riporta all’identità propria dell’avanguardia ove realtà, immaginazione sostengono l’essenza della vita.