Cosa è la Peste Suina Africana?
Sicuramente avrete già sentito parlare della Peste Suina Africana (PSA), la malattia che colpisce i suini, perché da quando è arrivata nel lontano 1978, probabilmente con le carni infette importate dalla Penisola Iberica, non se n’è più andata.
L’Asfavirus, cioè il patogeno responsabile della patologia, ha infatti trovato nell’Isola le condizioni ideali per stanziarsi, a scapito dell’economia locale (che dipende in buona parte dall’allevamento).
Ma, diversamente da come accade in Africa, in cui il patogeno si trasmette dalle zecche Ornithodoros ai facoceri, in Sardegna non sembrano coinvolti gli aracnidi, né gli insetti, allo stato attuale delle conoscenze.
E, a quanto pare, neppure i poveri cinghiali sono responsabili (almeno, non principalmente) della persistenza della PSA in terra sarda.
Una ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale (IZS) della Sardegna, pubblicata su Frontiers in Veterinary Science nel 2019, infatti, evidenzia chesono i maiali allo stato brado – e indirettamente l’uomo – a giocare un ruolo crucialenella questione. Scopriamone di più!
Peste Suina Africana: il ruolo dei maiali allo stato brado
Quando la Peste Suina Africana si diffuse nel Centro dell’Isola, dopo soli 3 mesi dal suo arrivo nel Sud, ci si rese conto che gli allevatori non avevano messo in pratica le misure per limitare la sua espansione.
Pensate che sarebbe bastato, molto semplicemente, non lasciare i maiali allo stato brado e non scambiarli con altri allevatori, due pratiche – illegali – molto diffuse nell’entroterra, facenti parte delle tradizioni locali.
Contravvenendo a queste misure, dunque, gli allevatori hanno fatto sì che i maiali al pascolo diventassero i serbatoi del virus, rappresentando l’anello di congiunzione tra i maiali domestici e i cinghiali selvatici.
Il ruolo dei cinghiali
Per quanto riguarda i cinghiali, la loro “colpa” (se così possiamo definirla) è quella di essere venuti a contatto con i maiali illegali, vivi o morti, presenti nel loro habitat.
Il contatto tra queste popolazioni suine è molto serrato, dal momento che i maiali illegali pascolano proprio nei territori densamente popolati dai cinghiali, favorendo così la trasmissione dell’agente virale.
Il passaggio del virus dai maiali illegali ai cinghiali, dunque, complica non poco la situazione. L’aver compreso il ruolo dei primi, però, ha permesso di pianificare delle strategie efficaci per ridurre la circolazione del virus.
Si tratta del Piano di Eradicazione 2015-2018 (EP-ASF15-18).
L’importanza dell’EP-ASF15-18 nella lotta alla PSA
L’EP-ASF15-18 si è concentrato, da un lato, sull’eliminazione dei maiali allo stato brado (ad oggi ne sono stati abbattuti 3.800) e dall’altro, invece, sulle misure di sorveglianza:
- attiva, il controllo dei cinghiali abbattuti nelle zone endemiche;
- passiva, la localizzazione e il controllo delle carcasse, nelle zone in cui la PSA non è stata rilevata da tempo.
Pensate che, grazie all’attuazione di questo programma:
- la prevalenza di PSA negli allevamenti regolari è passata dallo 0,61 allo 0,007 %, mentre la sieropositività si è ridotta dallo 0,32 allo 0,04 %;
- la sieropositività nei cinghiali è passata dal 6,23 all’1,12 %.
Risultati positivi, dunque, che lasciano ben sperare (qualora si prosegua su questa strada) nell’eradicazione della PSA entro il 2021, come dichiarato di recente da Alberto Laddomada, Direttore Generale IZS Sardegna.
Prospettive per il futuro
Dei progressi fatti in Sardegna si è parlato in un convegno a Cagliari, l’1 e il 2 ottobre 2019, al quale hanno preso parte ben 150 studiosi provenienti da 25 Paesi del Mediterraneo.
L’obiettivo era condividere le informazioni (“Big Data”), raccolte in questi ultimi anni dai nostri studiosi, per aiutare i Paesi (come l’Ucraina) in cui la PSA sta causando grossi danni sanitari ed economici.
Che sia la volta buona per scrivere la parola “Fine” sul capitolo PSA? Noi ce lo auguriamo!
Jessica Zanza