Le nostre strade sono piene di buche, insidie e trabochetti che spesso sono esse stesse causa di sinistri stradali, anche letali. La manutenzione delle pubbliche vie è un obbligo per gli enti proprietari imprescindibile per la salvaguardia della sicurezza stradale e così, se un motociclista cade a causa di una buca, è responsabile l’amministrazione.
A ribadirlo un’interessante ordinanza, la n. 31065/19, pubblicata il 28 novembre dalla terza sezione civile della Corte di Cassazione. Nella fattispecie, sono stati ritenute sufficienti le prove testimoniali raccolte che hanno confermato come l’incidente sia stato causato dall’asfalto dissestato e poco illuminato.
In caso di responsabilità da “cose in custodia” di cui all’articolo 2051 del codice civile, infatti, il danneggiato deve provare soltanto il nesso causale fra la cosa in custodia e la lesione patita, al di là della pericolosità della prima. Peraltro, il giudice d’appello può riqualificare come da cose in custodia la responsabilità dell’amministrazione anche se tutto il procedimento di primo grado si è svolto sul presupposto della responsabilità per colpa, laddove l’attore ha agito prospettando colpe compatibili con la fattispecie del richiamato articolo 2051.
Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, è diventata definitiva la condanna del Comune a pagare in favore del motociclista oltre 71mila euro a titolo di danno biologico e 600 per rimborso spese, nonostante il Tribunale di Catania avesse rigettato in prima istanza la domanda risarcitoria dello sfortunato centauro. In particolare, il giudice di primo grado aveva negato il risarcimento sull’erroneo presupposto che il danneggiato non avrebbe provato l’insidia o il trabocchetto.
Ma la Corte d’appello ha ritenuto ribaltare tale decisione perché, in primo luogo, il motociclista ha dimostrato l’esistenza della buca grazie a due testimoni e, dall’altro, aveva eccepito di aver agito in via principale secondo quanto disposto dall’articolo 2051 C.C. e solo in subordine sul presupposto della responsabilità per colpa del comune convenuto. Sul punto il Tribunale aveva sbagliato anche nell’esercitare il potere di qualificare la domanda di cui all’articolo 113 Cpc.
Quindi, non conta che il primo grado si svolga sul presupposto della responsabilità ex art. 2043 C.C.: il giudice d’appello ben può riqualificare i fatti costituitivi della pretesa azionata senza essere vincolato dal primo giudice (né da un riferimento formale della parte all’articolo 2043 C.C.). È poi irrilevante che la Corte d’appello non dia conto delle testimonianze favorevoli al Comune: la scelta delle risultanze idonee ad accertare i fatti compete al giudice del merito.
È essenziale, al contrario, che il danneggiato abbia dimostrato il rapporto fra la buca e la lesione, al di là delle caratteristiche intrinseche della strada: la responsabilità in questione, infatti, è un contrappeso alla signoria che il custode ha sulla cosa, dalla quale trae beneficio.
Una decisione che per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, costituisce un ulteriore significativo precedente in favore di tutti quei cittadini rimasti vittime di questo tipo d’insidie per ottenere il giusto risarcimento, ma anche un monito per tutti gli enti proprietari e custodi delle strade per incentivare lavori di manutenzione costante della rete viaria.