Riesce a trasmettere, anche con intelligente ironia provocatoria, ogni stato dell’anima, ogni sfumatura dei sentimenti, surclassando inutili inibizioni o espressioni melense e fastidiose.
Le strofe musicali dei suoi testi sono un’esplosione di fiera creatività, follia e ribellione. Un fiume in piena di indipendenza e imprevedibilità. Nessun buonismo nel definire Maione una sorta di Che Guevara della musica, un ideologo dalla forte identità rivendicata con orgoglio.
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Un affascinante percorso il suo, dall’intenso bagaglio musicale e umano. Non basterebbe un’intera giornata per leggere di tutta la sua illimitata poliedricità artistica, perciò riportiamo di seguito solo alcune tappe salienti della sua carriera. La musica gli scorre nelle vene già da bambino e a soli 9 anni dimostra il suo talento come cantante prodigio in un talent dell’epoca. In breve tempo riesce a catturare l’attenzione di artisti importanti e affascinare con la sua grande personalità il mondo musicale italiano.
Cantautore del Club Tenco (1995). Poeta (Premio Poesia Capodieci, Roma 1982, Menzione d’onore Memorial Sermoneta (Roma 2019). Chitarrista del Rhapsodija Trio, il celebre gruppo milanese di musica zigana e klezmer, con cui ha inciso 8 cd. Ha lavorato con Michele Serra, Antonio Albanese, Moni Ovadia, Antonella Ruggiero, La Compagnia di teatro danza Abbondanza-Bertoni, Giovanni Nuti e Lucia Bosè, la danzatrice e attrice portoricana Kesia Elwin, la cantante inglese Rachel ‘o Brien, Camilla Barbarito e Fabio Marconi, le attrici Benedetta Laurà e Debora Mancini, e tanti altri.
Ha partecipato, inoltre, a diverse colonne sonore di film tra cui Pane e Tulipani e Agata e la Tempesta di Silvio Soldini. Nel film Il Mnemonista di Paolo Rosa è anche apparso in video. Ha lavorato e inciso con la band afro-beat, Mamud Band, col cantante e flautista israeliano Eyal Lerner, col sassofonista Massimo Cavallaro e con l’ensemble arabo-israeliana Nuyalla, con cui si esibisce in concerti per la pace. Nel 2017 ha promosso il suo lavoro discografico “Assassini Si Nasce”.
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Il nuovo album si chiama “Parola di Franz!”. Dodici brani ad effetto “fuochi d’artificio” capaci di urlare forte la voglia di uscire fuori da schemi preconfezionati, dall’inutile retorica e dalla sempre più incombente piattezza emotiva.
Atto di dolore, Batti cuore, Tiemp, Tutto quello che mi manca è un attimo, Le cose già dette, Il ritornello dell’uomo normale, Sono molto disturbato (L’impiegato), La linea gialla, Canto delle lavandaie del Vomero, Fuori (a un artista pazzo, scomparso), Parola di Franz!
Ogni brano ci proietta in una diversa realtà raccontando le vere emozioni, quelle autentiche, che sembrano esplodere nei versi delle canzoni, urlando la necessità di pensare con la propria testa, e non con quella degli altri. Questo nuovo album regala novità e innovazione in un’epoca discografica spesso povera di originalità. E poi c’è la sua voce, potente e significativa, a rendere tutto ancora più interessante.
La vitalità e l’irriverenza delle note rock e pop, la capacità di riflessione spavalda ma attenta della musica d’autore, le ritmiche ribelli della chitarra, una buona dose di ironia e l’immancabile tocco teatrale, si fondono in uno stile unico e inconfondibile che ci affascina e forse ci turba, ma di sicuro lascia il segno…Parola di Franz!
Sardegna Reporter ha il privilegio di fare un viaggio tra la musica e la poesia di Luigi Maione.
Molti di noi, hanno dentro un Franz. Vero, indomito e irrequieto, lontano dall’essere sottomesso che si ribella ai rapporti sociali controllati e all’omologazione. Da dove hai tratto l’ispirazione per questo tuo nuovo album?
L’ispirazione principale l’ho presa appunto da Franz che, come già detto in altre interviste, è una persona realmente esistita, anche se non ne ho mai conosciuto il vero nome. In verità neppure lui sapeva molto di sé. Io l’ho chiamato Franz. Era “prigioniero” in una clinica psichiatrica. Non aveva nessuno che lo andasse a trovare, eccetto me. Sono stato sempre affascinato dalle persone che vivono al limite della sfera della “normalità”. Ma Franz, poverino, era profondamente malato e veniva curato a colpi di elettroshock. Era un uomo grande e grosso, ma con un fare da bambino. Ricordo che tra le altre cose giocava con delle macchinine e dei soldatini. Per farla breve, per Franz non c’era posto nel mondo. Io ho voluto, anche se solo simbolicamente, dare una svolta alla sua vita: un giorno le “sentinelle” entrano nella sua stanza e non lo trovano più. Franz non avrebbe potuto scappare, alla sua finestra c’erano delle sbarre.
Insomma ho voluto che in qualche modo trovasse rifugio nella “libertà” della sua follia, offrendogli un posto immaginario in una vita immaginaria. L’ho trasferito nella mia/sua canzone…
Per me, quella di Franz, è una storia molto commovente.
Riesci a mescolare sapientemente diversi generi musicali, dando vita a brani unici, al servizio delle emozioni. Come inizia il tuo rapporto d’amore con la musica?
Beh, forse vuoi dire il mio rapporto di amore e odio?!. “Scherzi” a parte, la musica, (come ogni forma d’arte), è sicuramente una grande risorsa interiore, ma devo dire che quando diventa una professione devi scontrarti con tante cose che cozzano pesantemente con l’arte, soprattutto il Mercato, ma non solo. Lo sappiamo, il mondo intero è una lobby, e in ogni dove c’è una lobby, anche e soprattutto nel settore della cultura e dello spettacolo, per non parlare poi di quelli che si ritengono alternativi (poi c’è chi lo è per davvero e chi non lo è per niente) e detengono il potere di farti lavorare o meno. La situazione la estendo a tutti i settori, del resto si sa, nel mondo, e soprattutto in Italia, non c’è e non c’è mai stata la meritocrazia. Ci sono in giro talenti straordinari, (a volte mi capita di sentirli anche per strada, nelle piazze), che nessuno conosce, come d’altronde succede anche a laureti, ingegneri, avvocati, ricercatori, costretti a lavorare nei call center o a fare i camerieri. Figuriamoci quanti “disturbati” ci sono in giro… Mi spiace, forse sono uscito fuori tema. Rispondo alla tua domanda: la mia passione è nata da ragazzino, mi piaceva cantare e partecipare a festival e concorsi dell’epoca. Ero un ragazzino in mezzo a tutti adulti. Per farla breve, mi ritrovai vincitore e non so neanche come, forse proprio perché ero il più piccolo. Avevo una voce molto potente (che oggi non ho più), e quella spudoratezza tipica dei ragazzini. Comunque quello fu l’inizio della fine, avevo assaporato il “successo…” Col tempo poi è nato l’amore per la batteria che in seguito ho “tradito” per la chitarra…
La cosa più difficile per un cantautore è scrivere canzoni che possano comunicare qualcosa, nel bene e nel male, e far immedesimare l’ascoltatore in ciò di cui si parla nel testo. E’ necessario avere una forte vena creativa, come nasce la tua?
Io ho un gran bisogno di comunicare, mi fa piacere se le cose che scrivo riescono ad arrivare anche ad altri, o addirittura a emozionare, (soprattutto in quest’era dell’usa e getta), perché il primo ad emozionarsi sono io.
Componi “scrivendo a tavolino” oppure di getto sull’onda delle sensazioni del momento?
Non ho una regola fissa. Quando l’attimo creativo cresce a dismisura devo scrivere, ovunque io sia. Ma per quanto riguarda la canzone nello specifico, prima magari creo un tema, una specie di ritornello, che sia nella musica o nelle parole, che costituisce il fulcro, più o meno, (ma non è una regola). Poi costruisco tutto il resto intorno. A volte mi risulta difficile portare a termine una canzone, altre volte vengono di getto, e di solito sono le più riuscite, perché in questi casi la forte ispirazione fa in modo che musica e testi si dettino e si completino a vicenda. Dopo viene la scelta dell’arrangiamento, dei suoni. A questo proposito colgo l’occasione per citare e ringraziare Giuseppe Rotondi, batterista, co-arrangiatore e co-produttore, nonché fonico dei mie due cd. Senza il suo apporto non sarebbe stata la stessa cosa. Il tutto è stato molto faticoso, il budget era bassissimo e i problemi non sono stati pochi. Ringrazio molto anche gli ottimi musicisti, creativi e partecipi, Marco Parano, Massimo Marcer e Alex Mandelli, cari amici e compagni di palco (quando si riesce a suonare…).
Nella tua musica fai ricorso anche al bellissimo dialetto partenopeo, quanto le tue origini influiscono sulla tua arte?
Beh, in generale è molto più facile scrivere in dialetto. Tra l’altro il dialetto napoletano (non lo dico per campanilismo), è una lingua tra le più musicali al mondo. Potrei scrivere tutto in napoletano, farei anche prima, ma l’italiano mi piace, perché no? E poi in musica è anche un po’ una sfida, l’italiano è una lingua molto melodica, ma a differenza dell’inglese, del francese o dei dialetti, non ha parole tronche. Tutte le parole finiscono con le vocali e la maggior parte hanno tutte l’accento sulla penultima sillaba. Invece, molto spesso, servirebbero parole con l’accento sull’ultima sillaba o sulla prima. Il dialetto invece, anche il milanese ad esempio, ti taglia tranquillamente tutte le finali.
Sono molto disturbato (L’impiegato) è un brano che mi ha colpito in modo particolare. La frase: “…meglio niente che meglio di niente” per esempio, racchiude in sé tutta l’impotenza e la disperazione di chi vive una vita all’insegna della banalità, prigioniero di una società al limite del vivibile. Quale messaggio vuole dare una canzone così?
Il messaggio è proprio quello che tu hai colto. Siamo tutti schiavi… “Sono molto disturbato” è la denuncia contro un Sistema, un modello di vita, che ha generato sconforto e frustrazione, mettendo tutti con le spalle al muro… Credo che oggi siano molti i disturbati, soprattutto quelli che non ce la fanno proprio a trattare ma sono costretti a farlo perché non c’è alternativa. Il mondo sta scivolando, (se non già scivolato), in uno strapiombo di infelicità, e con esso la gran parte dell’umanità. Pochi sono quelli che detengono la stragrande maggioranza della ricchezza mondiale, a scapito di quei tanti costretti ad accettare proposte indecenti… Non voglio fare troppa politica, io faccio il musicista, ma è sotto gli occhi di tutti: questo modello economico che ci vuole in competizione anche con nostro fratello o sorella, ci ha impoveriti, incattiviti e resi tutti micro-schiavi.
I cantautori a cui fai riferimento? Se ci sono.
Non ho particolari cantautori di riferimento. Ovviamente mi inchino ai grandi nomi, per quanto riguarda l’Italia, tra cui Fossati, Conte, Pino Daniele e altri. Ma, ripeto, non mi ispiro in particolare a nessuno di loro. Ho lavorato molto per consolidare una mia linea stilistica che non assomigliasse a nessun altro. Spero di esserci riuscito. Molti cantautori forse tendono a curare più le parole e meno la musica. Ovviamente anch’io tengo molto alle parole, ma le parole devono avere un suono, un suono dentro il suono della musica che le accompagna. Spesso mi capita di ascoltare bellissimi testi o bellissime musiche, ma poi insieme mi suonano un po’ scollati, (magari è solo una mia sensazione). Comunque in giro si sentono cose molto belle, davvero. In generale il livello dei musicisti oggi è molto alto.
Per salutarti una domanda un po’ giocosa. Chiudi gli occhi e immagina di avere davanti a te Luigi Maione agli esordi, e di dovergli dare un consiglio per far arrivare ancora di più la sua musica dentro l’anima di chi l’ascolta. Cosa gli consiglieresti?
Mhhh… Sei ancora in tempo per cambiare idea e mestiere 🙂
Avremmo perso un grande artista! Grazie per la tua disponibilità e la tua simpatia.
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Salutiamo Maione con la consapevolezza di aver conosciuto un artista che sa farsi amare. Un musicista-poeta che non cerca il plauso o l’approvazione degli altri, ma va avanti come un treno, forte del suo modo davvero unico di intendere la musica.
LINK AL VIDEO DI “SONO MOLTO DISTURBATO (EIMPIEGATO)”
Sabrina Cau