La speranza è che in mare non ci sia più nessuno, ma i sopravvissuti dicono di essere partiti in 169 e, se il numero risponde al vero, all’appello mancano venti persone.
Sul molo, dove i naufraghi infreddoliti e coi vestiti fradici attendono che un piccolo pulmino, a gruppi di dieci, li porti al coperto, ci sono due uomini disperati perché le loro mogli non sono mai arrivate sulla terraferma, mentre le motovedette continuano le ricerche con raffiche di Libeccio fino a 23 nodi e onde alte, nel buio pesto della sera, coadiuvate da un aereo che perlustra l’area e dalle forze dell’ordine che ispezionano la costa nell’ipotesi che qualcuno possa aver raggiunto l’isola a nuoto.
Intanto, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, poco prima che giungesse la notizia del naufragio, per la prima volta Francia, Germania, Italia e Malta avevano congiuntamente richiesto alla Commissione Europea, l’attivazione della procedura di ricollocamento dei migranti che si trovano a bordo della Ocean Viking. La richiesta ha fatto sì che fosse individuato il porto sicuro di sbarco, Messina, mentre giungeva la notizia che la Guardia costiera libica aveva salvato 206 migranti in tre operazioni condotte fra giovedì e oggi a nord e a est di Tripoli.
Tuttavia il Mediterraneo, ormai sguarnito di soccorsi, continua ad essere battuto dagli scafisti, pronti a traghettare migranti dall’Africa in Europa. E con i “viaggi della speranza” sono riprese le tragedie in mare anche se il traffico è rallentato, quando le reti di contrabbando sulla costa mediterranea della Libia sono state parzialmente distrutte dalla pesante pressione italiana, con una persona su 14 che muore sulla rotta dalla Libia verso l’Europa secondo i dati dell’anno scorso. Un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato a gennaio ha rivelato che sei rifugiati e migranti sono morti ogni giorno nel 2018 nel tentavano di attraversare il Mediterraneo.