La pubblicazione vuole essere un’occasione per inquadrare, con più precisione, le circostanze in cui gli inquisitori potevano intervenire, sotto il profilo giuridico del diritto canonico, per debellare l’eresia. A tal riguardo, si ricorda che, durante il periodo dell’Inquisizione, vigeva il principio del “cuius regio, eius et religio” (di chi è la regione, dello stesso è la religione). Pertanto, un delitto nel campo religioso, come l’eresia, era considerato crimine contro lo Stato, che interveniva secondo le sue leggi. Per meglio prevenire il fenomeno eretico, tuttavia, Papa Paolo III creò nel 1542 la “Congregazione della sacra, romana ed universale Inquisizione del santo Offizio”, che altro non era che un tribunale di esperti teologi, che dovevano accertare, per prima cosa, che l’eretico fosse veramente tale e non solamente un miserabile attratto dall’eresia da ignoranza o da superstizione.
Di seguito la traduzione dal latino :
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“Bisogna sapere che gli inquisitori della peste eretica, circa le divinazioni e i sortilegi, se manifestamente non riscontrano fattispecie di eresia, non devono intervenire, né tali esercenti possano punire, ma quelli ai loro giudici devono essere lasciati per la punizione, perché conviene che sia privilegiato sommamente il negozio della fede e altre occupazioni non devono essere impedite.
I Sortìlegi sono dunque coloro che con il pretesto della religione per forme diverse esercitano la scienza della divinazione o, fatte le ispezioni di qualsiasi tipo di scrittura, promettono eventi futuri. Di conseguenza sono da eliminare del tutto dalla chiesa le arti di tutti i Sortìlegi, degli arioli, degli aruspici, degli incantatori, che da qualsiasi pestifera comunanza con i demoni o con gli uomini, quasi patto infedele, costituiscano una dolosa amicizia. Gli artefici della superstizione se non si pentono totalmente, in perpetuo debbono essere colpiti da anatema e se per caso fossero clerici devono anche essere degradati”.