Paschixedda e Pasca de Nadale
Paschixedda nel sud e Pasca de Nadale nel centro nord indicano la festa di Natale in Sardegna.
Sa Paschixedda, in opposizione a Sa Pasca Manna, ossia la Pasqua, è una festa che significa famiglia, condivisione e tradizione.
La parola chiave è Pasca che in sardo significa festa: ad esempio, sa Pasca de sos tres res (o Pasca de is tres urreis) è la festa dei Re Magi, quindi l’Epifania (la Befana è comparsa successivamente) che cade il 6 gennaio.
Anticamente questa festa era quella in cui i bambini ricevevano dolci e regali. Ma in alcune zone della Sardegna, ancora prima della comparsa di Babbo Natale, Gesù Bambino (su Ninnu o su Ninnicheddu) era solito portare qualche pensierino ai fanciulli che si erano comportati bene durante l’anno.
Natale, simbolo di unione familiare e sociale
Quando la società industriale non aveva ancora soppiantato quella agro-pastorale e contadina, il Natale rappresentava un significativo momento di coesione familiare e sociale, in quanto i pastori, qualche giorno prima della grande festa, tornavano nelle proprie case dopo la lunga transumanza nei pascoli e ad attenderli c’erano mogli e figli.
La notte della Vigilia, ogni famiglia si riuniva nella nott’e xena, la calda notte non solo per il tepore del camino, ma soprattutto per il calore dello stare tutti assieme e vicini mentre si consumava una frugale cena, anche se la vera abbondanza del pasto era quella del 25 dicembre.
Era consuetudine diffusa in molte località della Sardegna imbiancare le pareti annerite del camino in modo che fosse pronto per la Vigilia. La sera del 24 dicembre il fuoco veniva attizzato su un grande ceppo di legno precedentemente conservato per l’occasione, detto “su Truncu e’xena”, che doveva restare acceso per tutte le feste, fino all’Epifania. Si doveva avere cura di non farlo spegnere ma anche di non farlo bruciare fino alla fine, nella convinzione che questa pratica rituale avrebbe portato fortuna economica e salute alla famiglia.
Nel caso delle famiglie più povere, che non potevano permettersi un abbondante pasto, la comunità mostrava la sua generosità offrendo la cosiddetta “Mandada”: una scorta di cibo che difficilmente si consumava in grandi quantità durante tutto l’anno (salsiccia, formaggio, dolci).
Dopo la cena, attorno al tavolo della cucina si passava il tempo in attesa della mezzanotte con i giochi di società, come “Su Barrallicu” e “Sa tombula”, e soprattutto con i racconti e le leggende dei più anziani delle famiglie che allietavano soprattutto i bambini, da sempre protagonisti dei festeggiamenti natalizi, felici ed eccitati di poter stare svegli in ore che solitamente erano dedicate al sonno.
A mezzanotte, si andava a “Sa Miss’è Puddu”, ovvero la “messa del primo canto del gallo”, il cui termine è di probabile derivazione catalana.
La Chiesa veniva addobbata a festa per sancire la solennità dell’evento della “Natività” e rappresentava per la gente un’occasione di ritrovo con gli amici, i vicini di casa o gli altri parenti non presenti al cenone di famiglia.
Per onorare questo “stare insieme” era d’uso, fin da epoca remota, la consuetudine di scambiarsi, oltre gli auguri di buon Natale, dei doni. Gli abitanti dell’antica Roma, ad esempio, erano soliti scambiarsi, in occasione delle feste e a Capodanno, dei regali chiamati “Strenne”.
Credenze, superstizioni e tradizioni pagane
Lo scambio delle Strenne si ricollegava ad un’antica tradizione secondo la quale, il primo giorno dell’anno, al Re veniva donato un ramoscello raccolto nel bosco della dea Strenna, dea sabina della Salute. Questo rito augurale si diffuse tra il popolo, e rametti di alloro, di ulivo e di fico vennero sostituiti da regali vari.
Più che ereditare il valore simbolico della nascita di Gesù Cristo come momento di gioia e speranza, la Sardegna tribale, pagana e mistica ha ereditato infatti il bagaglio magico-religioso del Solstizio d’Inverno, che condiziona i cicli produttivi e gli equilibri della natura.
Era luogo comune attribuire dei privilegi ai nati la notte di Natale: essi non avrebbero perso denti e capelli durante la vita e, inoltre, il loro corpo sarebbe rimasto incorrotto anche dopo la morte (nel Campidano si dice che: “Chini nascidi sa nott’è xena non purdiada asut’è terra“); o nel Logudoro, dove invece si riteneva che coloro che nascevano in quella notte, potessero preservare dalle disgrazie sette case del vicinato (sette è numero di chiara derivazione magica).
Tra Natale e l’Epifania, le donne che praticavano la magia bianca, cioè coloro che la tradizione sarda, a seconda delle aree di appartenenza definiva “bruxas” o “deinas”, quando ormai anziane sentivano che sarebbero morte da lì a breve, sfruttavano questo periodo per preparare alla successione un’altra persona di loro fiducia e trasmetterle così la conoscenza e poteri di cui disponevano.
I bambini, durante la notte di Natale, come già accennato prima, diventavano destinatari, da parte degli anziani delle famiglie, di favole e macabri racconti che facevano da spauracchi per introdurli all’osservanza e al rispetto delle regole. Le leggende sulle Streghe rendevano questa notte ancora più magica e affascinante: dalla Strega divoratrice di bambini di Orosei, Maria Mangrofa, alla creatura malvagia che tastava il ventre dei più piccoli durante il sonno per infilzare quelli vuoti, Maria Puntaoru.
Un’altra credenza diffusa nella Sardegna del passato riguardava la partecipazione alla Messa di mezzanotte: soprattutto le donne incinte erano convinte che, se non l’avessero ascoltata, il nascituro sarebbe potuto nascere deforme. Ecco perché la Messa natalizia diventava occasione per compiere alcune pratiche di natura esorcistica per tutelare la nascita del loro bambino.
Bona Pasca de Nadale e bonas festas!
Alessandra Leo