Il 27 dicembre 2019, alle ore 17.30, la Pinacoteca presenterà in anteprima ai cittadini oristanesi le tre grandi opere donate dai familiari dell’artista al Comune di Oristano: Luci e ombre del Supramonte (1961), L’albero della Cuccagna (1958/1967), Il Cristo a tre braccia (1968). Giunte da Pistoia, dove risiede la famiglia Contini, le opere verranno esposte negli spazi della Pinacoteca. Alla presenza delle Autorità cittadine e dei familiari dell’artista, verrà evidenziato l’alto valore civico della donazione stessa con un confronto coordinato dal curatore della Pinacoteca Ivo Serafino Fenu che, assieme all’architetto Antonello Cuccu e alla Storica dell’arte Luciana Delitala racconteranno da diversi punti di vista l’artista e la sua opera, con la finalità di ricomporre il quadro storico, critico, artistico e umano di Carlo Contini.
“Un sentimento forte e di vecchia data lega la città a Carlo Contini e alla sua famiglia – osservano il Sindaco Andrea Lutzu e l’Assessore alla Cultura Massimiliano Sanna –. Le straordinarie opere di questo grande artista sono uno dei biglietti da visita più rappresentativi di Oristano, una città che ha amato e nei confronti della quale la sua famiglia nutre il medesimo sentimento, ma anche una città che ha contraccambiato dedicandogli la Pinacoteca comunale e il Liceo Artistico. Con la donazione di queste tre tele questo legame si rinnova. La Municipalità ne è onorata e rivolge un sentito ringraziamento a chi conserva e tramanda la preziosa eredità artistica del grande Carlo Contini”.
Il 2020 per la città di Oristano sarà un anno particolarmente importante e che vedrà primeggiare, a livello espositivo, la grande mostra retrospettiva dedicata all’artista, al quale è dedicata la stessa Pinacoteca e del quale si ricorderà il cinquantenario della morte. Per l’occasione e col coinvolgimento di molti cittadini, verrà messo a confronto il Contini pubblico e il Contini privato, talvolta inedito o poco conosciuto. Le opere, conservate gelosamente dai suoi concittadini, verranno esposte in Pinacoteca e messe in relazione con quelle in possesso del Comune: sarà un viaggio di ricordi, di emozioni e di colori, gli stessi che hanno contraddistinto la sua produzione artistica, un omaggio da parte della Comunità oristanese e del Comune a colui che, nelle sue tante opere ne è stato il più sincero e convinto cantore.
INTERVENTI
Saluti delle Autorità e dei familiari dell’artista
Firma dell’Atto di donazione
Antonello Cuccu
Carlo Contini, un’esperienza estetica tra l’Isola e il Continente
Luciana Delitala
Carlo Contini a Oristano: l’uomo, l’artista, l’insegnante
Ivo Serafino Fenu
Un dono che fa crescere la città
DONAZIONE
Luci e ombre del Supramonte, 1961
olio su tavola, cm 195×150
Luci e ombre del Supramonte, monumentale opera del 1961, è uno dei vertici di quel processo astrattivo che caratterizza l’opera tarda di Carlo Contini. Senza mai rinunciare a grumi di figurazione, la composizione è caratterizzata dall’incastro di tasselli di colore incernierati su un asse leggermente inclinato che le conferiscono profondità e dinamismo, assieme a una tavolozza tutta giocata su raffinati accostamenti di terre d’ombra, grigio-azzurri e ocra che evocano, in chiave visionaria, una struttura protocubista.
L’albero della Cuccagna, 1958/1967
olio su tavola, cm 220×95
L’albero della Cuccagna è una delle opere più tormentate di Carlo Contini, come testimonia la sua quasi decennale gestazione, iniziata nel 1958 e portata a termine, dopo numerosi pentimenti e altrettanto numerose modifiche, come dimostra un efficace bozzetto, nel 1967. L’opera definitiva, meno libera dal punto di vista compositivo e attutita nei toni, con una predominanza di ocra, terre, neri e azzurri, definisce con più forza icastica i fanciulli che si inerpicano verso un traguardo che, per il taglio figurale, appare irraggiungibile.
Il Cristo a tre braccia, 1968
olio su tela, cm 230×90
Il Cristo a tre braccia, del 1968 e tra le ultime opere prodotte dall’artista, deve il titolo ad alcuni ripensamenti nella parte alta della tela. Caratterizzata da una tavolozza sempre più limitata all’uso di ocre, di bruni e di blu, l’opera si carica di un’inedita carica drammatica, un espressionismo dolente, violento e cupo, enfatizzato da un segno greve, dalle deformazioni del corpo abbandonato e debordante di Cristo e da un materismo segnico che enfatizza un processo creativo tormentato: un vero e proprio testamento spirituale che, tuttavia, non rinuncia alla ricerca di nuove vie espressive.
NOTA BOGRAFICA
Carlo Contini (Oristano 1903 – Pistoia 1970) è uno dei più importanti pittori sardi del secolo scorso e la sua produzione si caratterizza per una cifra stilistica ben distinta rispetto agli artisti corregionali suoi contemporanei. Lui stesso era consapevole di questa specificità che nasceva da una verve coloristica di prima grandezza. In un’intervista-confessione a Vincenzo Schivo, apparsa su Il Quotidiano Sardo del 2 gennaio 1949 a margine della XXIV Biennale di Venezia e ripensando alla sua terra d’origine ebbe a dire: «Qui tutto è grigio, brumoso, freddo … E io amo il colore, vivo per il colore. Per quella ridda di gialli, di rossi, di verdi e di violetti che laggiù turbina nelle mie pupille e mi accieca». Contini era nato a Oristano il 13 novembre del 1903 e operò fino al 1968, quando le precarie condizioni fisiche lo costrinsero ad abbandonare l’attività pittorica, a lasciare l’insegnamento presso l’Istituto Statale d’Arte di Oristano, a ricongiungersi coi figli a Pistoia, ove si spense il 25 agosto del 1970. Rimarcare lo scarto generazionale fra Contini e quegli artisti, soprattutto Biasi e Figari, giustamente ritenuti gli iniziatori di una “via sarda” della pittura del ‘900 non è un mero esercizio retorico ma serve a focalizzare meglio la fitta trama di rapporti, di dipendenza e anche di distacco del più giovane rispetto agli altri. La sua formazione avvenne prima a Roma dove, tra il 1920 e il 1924 frequentò l’Accademia delle Belle Arti e, successivamente, dal 1925 fino al 1939, a Venezia. L’importanza e l’originalità dell’opera di Contini si nutre dei tagli “cine-fotografici” e di certa magniloquenza figurale di Figari e di numerosi spunti tematici e compositivi direttamente derivanti da Biasi, così come l’approdo quasi materico-informale degli anni Sessanta, seppur sempre legato a un irrinunciabile grumo di figuratività, non può non rimandare alle di poco precedenti esperienze avviate da Mauro Manca. Queste “aperture” verso le esperienze più innovative dimostrano, invece, soprattutto in età avanzata, un’estrema duttilità, una sorprendente curiosità intellettuale e un’incredibile voglia di sperimentare in un nomadismo estetico rischioso ma certamente proficuo. A quest’ultimo periodo appartengono le tre grandi opere donate dalla famiglia dell’artista alla Comunità oristanese tutta e che verranno ospitate permanentemente nella Pinacoteca che porta il suo nome assieme al Liceo artistico statale nel quale ha insegnato.