Tra le tante e bellissime storie che germogliano nei giardini scolastici di Agitamus, capita a volte di imbattersi in realtà dove il progetto del CIP Sardegna, appoggiato dalla Regione Sardegna, inconsapevolmente trovi il terreno dissodato da un alacre lavorio precedente.
L’humus favorevole lo si deve all’ottimo lavoro della maestra Giusi Sestu e dell’insegnante di sostegno Giusi Frigau. E soprattutto alla presenza di un bambino straordinario, cieco dalla nascita e di nome Aaron. Per stare a stretto contatto con lui le maestre hanno assimilato il Braille e tutti i compagni assecondano i suoi tempi, si alternano per guidarlo passo, passo nell’attività normale di classe. Nel corso della presentazione dei moduli di Agitamus c’è sempre stato qualcuno pronto a descrivergli ogni minimo dettaglio sugli atleti paralimpici che si sono alternati.
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Aaron sorprende perché ha un’intelligenza emotiva molto spiccata, associata ad una proprietà di linguaggio fuori dal comune. Segue con vivo interesse tutti coloro che gli si rapportano e i compagni stessi si cibano di queste spiccate virtù riuscendo a percepire i profondi contenuti delle sue esternazioni. La scuola è molto importante per lui.
Chi ha avuto modo di conoscerlo durante il Convegno alla Fiera di Cagliari è rimasto colpito dalle sue descrizioni accurate, spesso metaforiche. La morte del padre l’ha segnato tantissimo, facendo passare in secondo ordine la cecità: “è come quando levi la spina dalla presa della corrente”. Aaron è molto credente e anche nei sui temi emergono delle riflessioni che si avvicinano alle materie teologiche.
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Lo staff di Agitamus ha imparato tanto da questa storia, perché la cura e la salvaguardia della diversità può essere recepita spontaneamente, basta avere una bella testa che vede il mondo con altruismo e ottimismo.
LO PSICOLOGO ANDREA PIRA: “DAVVERO LUSINGATO DA QUESTI BAMBINI”
“Ho trovato una classe come poche ne ho mai visto”. Parola di Andrea Pira, nuorese doc, laurea in psicologia a Trieste, con specializzazione nella scuola di Psicoterapia IFREP. Preparazione rafforzata in un ospedale di neuroriabilitazione romano: “Lì ho assistito alle fasi di recupero che sono molto lente, con pazienti che perdevano la parola, la memoria e altri che dopo il risveglio dal coma erano completamente cambiati”.
Cosa ti è piaciuto maggiormente di questa quinta elementare del Colombo?
Il terreno fertile, constatare che la scuola funziona. Mi ha arricchito vedere una organizzazione virtuosa, praticamente è nata un’affinità elettiva tra la classe e Agitamus. È come se si parlasse la stessa lingua e i bambini hanno sviluppato maggiore attenzione anche per le disabilità meno appariscenti, stimolati attraverso temi da elaborare senza fretta. Erano tutti molto attivi, non cessavano mai di fare domande interessanti.
Episodi particolari che ti hanno colpito?
Avevo il timore di non avere il numero di mascherine sufficiente per gli esercizi di immedesimazione ma le maestre mi hanno subito tranquillizzato dicendomi che ne avevano a disposizione loro. Questo fa capire come tutto si svolgesse con l’attenzione alle diversità e in particolare in funzione di una migliore inclusione in classe di Aaron.
Sapevano tutto sulle disabilità sensoriali..
Ma meno delle altre. Sono rimasti colpiti soprattutto da quella mentale nel momento in cui hanno interagito con un atleta affetto da schizofrenia. Convivere serenamente con la situazione di Aaron veniva invece naturale, lo vedevano tutti i giorni.
E cosa è successo in particolar modo?
Ad un certo punto l’atleta paralimpico ha confidato ai bambini che gli capita spesso di parlare rivolto allo specchio. Questo li ha spiazzati, ma interpretando il loro stupore precisai che siamo esseri relazionali ed è possibile che quando non abbiamo qualcuno con cui parlare ci possiamo anche, in un certo senso, dividere in due parlando con noi stessi. Hanno capito un aspetto della schizofrenia, ovvero la scissione tra la realtà e l’immaginazione: la vita è dura, me ne vado dalla realtà e mi invento l’amico o il nemico immaginario.
Ormai conosci molto bene le dinamiche di Agitamus. Com’è il tuo metodo?
Sto molto attento a ciò che accade durante il primo incontro dedicato al modulo “Conoscersi diversamente”; è quello che crea per così dire le fondamenta. Riconduco poi tutta l’interazione alla storia del Girasole Unpoquaunpolà che segue una certa narrazione cognitiva ed emotiva. Il mio metodo è concepire dapprima un contatto emotivo con sé stessi, stimolarli a entrare in empatia amorevole con le proprie diversità, sia reali che percepite, senza inizialmente affrontare le tematiche sulla disabilità dell’“altro da sé”.
Cerchi di scendere in profondità..
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Si, proprio così. Credo sia difficile entrare in empatia con l’altro se non riconosco e accetto alcune parti del mio essere. Allo stesso tempo nei miei interventi l’obbiettivo è quello di stimolare alla consapevolezza che se anche entriamo in contatto con un dolore interno, possiamo avere le risorse per tornare comunque in uno stato di equilibrio.
Per esempio?
Al Colombo, dopo essere entrati in contatto con alcuni ricordi (tristi), dove i bambini si sono sentiti diversi dagli altri e dopo averli condivisi con i compagni, sono andati per così dire in risonanza emotiva gli uni per gli altri fino arrivare alle lacrime. Dopo questa fase abbiamo fatto insieme un esercizio guidato dove gli alunni, battendo a ritmo i piedi per terra, sono tornati nel qui ed ora della classe dove tutto era sicuro e tranquillo e dove non stava succedendo nulla di spaventoso o triste. Hanno così ripristinato un altro stato dell’io, fiducioso e tranquillo.
Che riflessioni si traggono dopo tali situazioni?
In quel caso il bello è stato che tutti avevano la capacità di affrontare quello stadio in maniera funzionale e abbastanza rapidamente; erano capaci di fiducia in sé e negli altri. Nel momento successivo a quella prima fase si son coinvolti con energia e gioia nei giochi che ho proposto loro in palestra.
C’è sempre un messaggio da lanciare dietro questi esercizi
Da parte mia, uno in particolare: si può scendere nel dolore ma si può anche risalire. A mio avviso se non c’è contatto emotivo, Agitamus non può attecchire al meglio. Se ci si limita ad un’informazione e ad una educazione solo cognitiva e non anche esperienziale ed emotiva, è più difficile comprendere e accettare la tua propria diversità e ancora più difficile comprendere la difficoltà/diversità dell’altro, non puoi realmente toccare l’anima dell’altro.
Stabilire un feeling con i bambini diventa essenziale..
Una volta che si crea un’alleanza con i bambini e con le maestre il resto viene da sé perché sono più attenti, presenti e attivi. Allora, sentendosi al sicuro, possono recepire tutte le sfumature delle storie che sentono. Durante i racconti di alcune esperienze dolorose degli atleti paralimpici mettevo l’accento su quali fossero i passaggi e le diverse fasi che conducono all’accettazione, tristezza, rabbia, fermandomi poi a ragionare con tutto il gruppo sulla strategia usata per modificare e trasformare la difficoltà in opportunità.
E il racconto del Girasole di Manolo Cattari, ideatore e responsabile operativo del progetto Agitamus, è sempre preponderante
Nell’interazione tra atleti e bambini faccio sempre ponte con il racconto del Girasole che descrive bene il cambiamento di prospettiva nell’osservazione della realtà. Il protagonista compie una rivoluzione copernicana: spostando il suo sguardo verso la luna compie una svolta esistenziale.
Tra il vostro lavoro normale e quello nelle classi ci sono affinità?
La struttura di Agitamus richiama molto quello che noi facciamo nei colloqui individuali nella nostra normale attività lavorativa. Soprattutto quando si stipula il contratto di cambiamento, anche Agitamus lo prevede
In cosa consiste?
E’ un impegno al cambiamento specifico, osservabile, concreto, consapevole, che coinvolge tutte le parti del sé e imprime una direzione ai lavori che stai facendo. Nella prima giornata di Agitamus facciamo sottoscrivere quelle che sono le intenzioni e la direzione del cambiamento, per esempio davanti alle diversità proprie o degli altri. Per mettere in luce nuovamente le potenzialità della classe del Colombo, aggiungo che il contratto di Aaron è stato scritto in Braille.