Così recitava lo striscione ad apertura del corteo di centinaia di persone che il 25 gennaio ha attraversato Cagliari, nella giornata internazionale in cui in numerose città in tutto il mondo si è scesi in piazza per chiedere la fine delle aggressioni imperialiste che rischiano di scatenare l’ennesimo conflitto in Medio Oriente e di esacerbare la mai risolta crisi libica.
In questi stessi giorni, in Iraq, milioni di persone stanno riempiendo le piazze – in quelle che dai media nostrani vengono ipocritamente descritte come manifestazioni anti-governative – per chiedere che tutti gli eserciti stranieri rispettino quanto stabilito dal parlamento del paese mediorientale: che le truppe occupanti presenti nel territorio iracheno, dove per decenni non hanno fatto altro che portare morte, instabilità, distruzione, abbandonino quest’ultimo immediatamente.
Come sardi e sarde abbiamo sentito la necessità di esprimere la nostra solidarietà nei confronti di tutti i popoli che subiscono le aggressioni degli eserciti NATO, con la partecipazione di quello italiano, e come sardi e sarde ci sentiamo e siamo direttamente coinvolti in queste manovre di guerra e abbiamo il dovere di far sentire forte la nostra voce. Chi ha compiuto l’assassinio del generale iraniano Soleimani, nel tentativo di trascinare l’Iran e l’Iraq nel baratro della guerra, si esercita ogni anno e prepara queste azioni criminali nelle basi sarde. Gli aerei carichi di bombe che hanno sconvolto l’assetto politico della Libia, trascinandola nell’attuale caos, sono partiti dagli aeroporti militari sardi. Cacciare i militari dalla nostra terra è un passo imprescindibile nel cammino per l’autodeterminazione dei popoli e per la fine delle invasioni della NATO e dei suoi alleati.
In questo contesto di tensione internazionale, in cui si rende ancora più chiaro quale sia l’utilità delle basi sarde, il Capo di Stato maggiore della Marina Militare, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha fatto visita alla Sardegna, e come un viceré che si reca nelle colonie per sceglierne il destino, ha dichiarato che il porto di Cagliari si trova in un punto strategico del Mediterraneo e per questo motivo il suo ruolo nel contesto delle operazioni militari deve essere rafforzato.
La Sardegna dovrebbe quindi diventare, ancora più di quanto già non lo sia, un hub della guerra in tutta l’area mediterranea. Non quindi un passo indietro rispetto all’occupazione militare, ma un passo avanti, un’ulteriore spazio rubato ai sardi e alle sarde per esportare morte, con la complicità del Comune e della Regione, sempre proni davanti ai dettami degli uomini in divisa. Ma noi, come loro, non faremo un solo passo indietro: chiederemo al comune di Cagliari di prendere posizione e impedire che il porto della città venga chiuso alle attività militari e saremo sempre in prima fila per ostacolare questa nuova invasione.
Torneremo nelle strade, nei porti e di fronte alle basi fino a quando non avremo liberato la nostra terra.