Dall’inizio della stagione invernale 2019-2020, gli incidenti da valanga si sono rivelati più numerosi della media e allo stato attuale, purtroppo, si contano già 14 decessi – contro una media riferita all’intera stagione di circa 20 – e un numero più che doppio di travolti salvati anche se pluritraumatizzati. I nefasti e ripetuti eventi verificatisi durante le festività natalizie, dapprima sul versante teramano del massiccio del Gran Sasso d’Italia, quindi sul Monte Terminillo poi nell’alta val Senales e gli ultimi sulle Dolomiti del Brenta e sul Ruitor, derivano da una concomitanza di più fattori meteorologici e umani.
Lo ha affermato Massimiliano Fazzini, Responsabile del Gruppo Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA), geologo, docente dell’Università di Camerino.
Fattori comunque circoscritti ad ambienti fisici sommitali e non certo tipici di frequentazioni montane di massa, quali possono essere le aree sciistiche maggiormente frequentate, soprattutto in ambito appenninico. In primis occorre ancora una volta evidenziare che, ovunque ci sia presenza di neve al suolo, il pericolo di distacco di masse nevose più o meno estese esiste sempre, per lo meno sui pendii caratterizzati da pendenze superiori ai 25 gradi. Sulla catena alpina, l’inizio della stagione è stato caratterizzato da nevicate molto abbondanti – ha continuato Fazzini – e ripetute che si sono inizialmente accumulate su un suolo ancora decisamente caldo, visto il prolungarsi di elevate temperature anche a quote elevate e sino alla metà del mese di novembre. Condizione, questa, che deve sempre essere presa in seria considerazione e monitorata per l’innesco di valanghe. Nel caso specifico degli ambiti appenninici, invece, è stata ancora una volta smentita l’identità “poca neve = basso pericolo”. Oltre alle condizioni d’innevamento e termiche, dove un forte gradiente termico verticale può di fatto destabilizzare uno scarso innevamento, il vero “nemico” del frequentatore della montagna innevata è il vento. Imprevedibile, caratterizzato da repentine variazioni di velocità e direzione di provenienza, è il vero costruttore delle strutture “a lastrone” che possono poi scivolare naturalmente, o sovraccaricate, verso il basso travolgendo inesorabilmente tutto ciò che incontrano lungo il loro percorso con conseguenze spesso devastanti e drammatiche. Sempre nel caso degli incidenti avvenuti in Appennino, nei giorni antecedenti i tragici eventi, i miti venti di provenienza occidentale avevano più volte superato i 120 km/h di velocità, raggiungendo, nelle giornate del 20 e del 21, punte sino a 160 km/h; provocando di fatto accumuli più o meno spessi sui versanti sottovento (nella fattispecie i contrafforti principali e secondari esposti soprattutto a est ma localmente su tutti i versanti). Anche alle testate della Val Senales e di La Thuile, i venti tempestosi da nord avevano raggiunto i 130 km/h. Nei domini appenninici, si è aggiunto l’effetto di rigelo dello strato superficiale del manto nevoso, determinato da forti escursioni termiche diurne che, tra il 16 e il 19, hanno ripetutamente fatto oscillare le temperature dell’aria sopra e sotto lo zero sino a oltre i 2.000 metri di quota.
Due sono gli elementi per contenere il numero degli incidenti e di conseguenza le vittime in questi casi:
Primo: la pianificazione. A livello di pianificazione territoriale, occorre rapidamente completare e aggiornare la cartografica tematica basata sul calcolo quantitativo dei tracciati valanghivi da modelli fisico-matematici mono e bidimensionali che, per determinati tempi di ritorno, forniscono le caratteristiche del movimento con relative pressioni d’impatto e altezze di accumulo in zona di arresto – ha dichiarato Antonello Fiore, Presidente Nazionale della SIGEA – i cosiddetti Piani di zona esposti a valanghe (PZEV). Se lungo la catena alpina tali documenti sono completati, sull’Appennino solo ora tali progetti iniziano a essere conosciuti.
Secondo: consapevolezza, preparazione e autoprotezione. I frequentatori della montagna devono avere consapevolezza degli ambienti che frequentano e un’esperienza tale da valutare con attenzione i percorsi da seguire in ambiente innevato; seguire le regole di base di autoprotezione, quali essere sempre in compagnia di esperti alpinisti o guide alpine, sapere utilizzare alla perfezione gli strumenti e le tecniche di autosoccorso in caso di travolgimento proprio o di altri.