Ironia in noir ne “La cena delle belve” (Le Repas des fauves) di Vahè Katcha, con elaborazione drammaturgica di Julien Sibre (che firma anche la regia insieme a Virginia Aqua) nella versione italiana di Vincenzo Cerami: una commedia divertente e spietata incentrata su una situazione estrema, dove ciascuno dei protagonisti lotta per la propria sopravvivenza, facendo emergere egoismo e impulsi primordiali sotto la maschera dell’educazione e della “civiltà”.
Una cena di compleanno, durante l’occupazione nazista, si trasforma in un incubo davanti all’ordine della Gestapo di consegnare due “ostaggi”, da sacrificare nella rappresaglia per l’uccisione di due ufficiali tedeschi avvenuta davanti alla palazzina: si tratterebbe in realtà di uno speciale riguardo, un atto di cortesia verso il padrone di casa, un libraio, da parte di uno degli ufficiali, suo cliente, quella gentile concessione di permettere che siano lui e i suoi ospiti a designare le vittime, ma subito si scatena un gioco al massacro.
Sotto i riflettori l’ottimo e affiatato cast che schiera (in ordine alfabetico) Marianella Bargilli, Emanuele Cerman, Alessandro D’Ambrosi, Maurizio Donadoni, Ralph Palka, Gianluca Ramazzotti, Ruben Rigillo e Silvia Siravo, le scenografie che restituiscono le atmosfere dell’epoca sono di Carlo De Marino, i costumi di Francesca Brunori e il disegno luci di Giuseppe Filipponio per un affresco della società negli Anni Quaranta del Novecento – in un momento terribile nel pieno della Seconda Guerra Mondiale – quando un gruppo di amici cerca di sottrarsi alla tensione e alla paura del conflitto per ritrovarsi inaspettatamente “in prima linea”, quasi davanti a un plotone di esecuzione.
“La cena delle belve” – dopo il successo parigino e tre premi Molières come miglior spettacolo, per il migliore adattamento e la miglior messa in scena nella “rilettura” contemporanea di Julien Sibre – sbarca in Sardegna sotto le insegne de La Grande Prosa del CeDAC: la fortunata commedia debutterà domani (martedì 21 gennaio) alle 21 al Teatro Comunale “Nelson Mandela” di Santa Teresa Gallura per approdare mercoledì 22 gennaio alle 21 al Teatro “Tonio Dei” di Lanusei e infine giovedì 23 gennaio alle 20.45 al Teatro Centrale di Carbonia per un imperdibile trittico nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
La pièce del drammaturgo e scrittore, sceneggiatore e giornalista francese di origine armena, Vahè Katcha, indaga nei labirinti della mente e del cuore e tocca nodi cruciali e ancora irrisolti della storia recente: l’opera risale al 1960, quando la memoria degli eventi bellici era ancora accesa e vivida, insieme alle ferite e alle lacerazioni, nella coscienza dei superstiti, insieme agli orrori dei lager, una delle pagine più tragiche del Novecento.
La questione morale – il dilemma di una scelta impossibile – al centro della trama si rivela comunque di stringente attualità e rimanda a ogni istante in cui ciascun individuo è chiamato a giudicare e stabilire il destino di qualcun altro, nel quotidiano, sul lavoro come entro le mura domestiche, nell’esercizio di un potere in ambito istituzionale, con in più in questo caso l’opzione di un gesto eroico, la possibilità di immolarsi, di rinunciare alla vita o mettere comunque a rischio la propria incolumità per il bene comune.
“La cena delle belve” attinge a un immaginario condiviso, in virtù della eccezionalità dello stato di guerra che (sia pure diventata quasi una consuetudine in cui si cerca di ritagliarsi o inventarsi spazi di presunta “normalità”), propone delle “emergenze” e impone delle leggi speciali – non molto diverse in realtà da quelle di un regime autoritario, dove l’arbitrio del governo sulle esistenze e sulle attività, perfino sui pensieri e le parole dei cittadini, non conosce confini. Un’eco del passato – ma anche una possibile anticipazione di un futuro distopico, che rappresenta l’attualità in alcune regioni del pianeta – per una vicenda grottesca e paradossale ma del tutto verosimile in un contesto in cui prevalga l’uso della forza.
Ne “La cena delle belve” (già trasportata sul grande schermo da Christian-Jaque nell’omonimo film del 1964, con un cast che comprendeva anche Antonella Lualdi, accanto a Claude Nicot, France Anglade, Adolfo Marsillach, Claude Rich, Dominique Paturel, Francis Blanche e Boy Gobert) Vahè Katcha descrive una condizione claustrofobica nella quale i personaggi sono virtualmente prigionieri, vittime di una sorta di tortura psicologica: ognuno di loro deve fare i conti con i propri principi e i propri imperativi morali – e scoprire se è capace di morire per un ideale.
La cruda realtà del conflitto bellico e dell’occupazione straniera irrompe sulla scena, cancellando l’illusoria quiete e il clima conviviale della serata, con l’apparente sollievo della dilazione concessa per la consegna degli “ostaggi”, che dà il via al subdolo scontro per la sopravvivenza, in cui ciascuno cerca di far valere le proprie ragioni su quelle degli altri: il padrone di casa e sua moglie, un medico, un reduce, una giovane vedova interessata alla Resistenza, un cinico e disincantato “filosofo” e un uomo d’affari “collaborazionista” difendono strenuamente le proprie posizioni e il proprio diritto alla vita.
Vi è qualcosa di inquietante nella “banalità del male” che bussa alla porta sotto le spoglie di un ufficiale colto e amante dei libri, ma tranquillamente disposto a uccidere per adempiere al suo “dovere”, come nella “tentazione” di una via di fuga al prezzo di un’altra vita: non è difficile identificarsi o riconoscersi nel dramma delle donne e degli uomini riuniti in una stanza, nell’interminabile attesa di una fine – una soluzione impossibile – al momento del dessert.
“La cena delle belve” è un perfetto paradigma della complessità e imprevedibilità delle reazioni umane, ma anche della potenza di quell’istinto di sopravvivenza che permette di superare la “selezione naturale” e qui mette alla prova rapporti di amicizia e reciproca stima costringendo i protagonisti a guardarsi allo specchio, in una serata tragica e indimenticabile, dopo la quale per i personaggi nulla potrà essere come prima, quale che sia l’epilogo, dopo la caduta delle maschere e la rivelazione tremenda della verità.