“Se si incentivasse ad esempio la sostituzione delle vecchie vetture fortemente inquinanti – spiega Ficco – con nuove vetture anche benzina e diesel di ultima generazione, il beneficio ambientale sarebbe evidente. La trazione elettrica rappresenta difatti solo una piccola frazione delle attuali immatricolazioni e avrà bisogno di molti anni e grandi investimenti in infrastrutture, secondo le stesse previsioni esposte dal Ministero, per diventare davvero rilevante: si è parlato in particolare di una quota del 17% di elettrico nel 2030. Dobbiamo quindi favorirla, ma senza scartare aprioristicamente altre soluzioni che possono contestualmente arrecare ottimi risultati, da quelle che rendono assai meno inquinanti le motorizzazioni tradizionali a nuove opportunità come il gas naturale compresso o l’idrogeno, che poi è una forma per certi versi più avanzata di elettrico già allo studio sui veicoli pesanti”.
“Quello che proprio non occorre, in ogni caso, è l’adozione – prosegue Ficco – di provvedimenti spot del tutto incapaci di produrre effetti ambientali positivi, come ad esempio è stato il divieto di circolazione delle vetture diesel a Roma, che non è riuscito a migliorare la qualità dell’aria ed ha colpito auto con motorizzazione euro 6, lasciando circolare auto ben più inquinanti”.
“Sarebbe auspicabile – conclude Ficco – che la tempistica degli incentivi tenesse conto anche dei processi in atto nell’industria italiana, come noto oggi concentrata sulla produzione di vetture a propulsione tradizionale ma in procinto di ampliare fortemente l’offerta di auto elettriche e ibride. Infine l’obiettivo dichiarato di ridurre il parco circolante complessivo di veicoli privati dovrebbe essere bilanciato da un grande potenziamento della rete di trasporti pubblici, altrimenti si tradurrà in un’operazione per così dire classista e a pagarne le spese saranno i comuni cittadini, i pendolari e i lavoratori che saranno costretti o a sostenere costi maggiori o a subire disagi e aggravi dei tempi di viaggio”.