Una favola nera tra ricordi d’infanzia e la scoperta di una “vocazione” ne “La Classe/ un docupuppets per marionette e uomini” – uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli e CrAnPi in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC: la pièce immaginifica, vincitrice del Premio della Critica 2019, sarà in cartellone in prima regionale DOMANI (giovedì 5 marzo) alle 20.30 al Bocheteatro di Nuoro per la Stagione de La Grande Prosa & Teatro Circo 2019-2020 per approdare venerdì 6 e sabato 7 marzo alle 20.30 al TsE di Is Mirrionis in via Quintino Sella a Cagliari per un nuovo, duplice appuntamento con la rassegna “Il Terzo Occhio” dedicata ai linguaggi del contemporaneo – nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
“La Classe” intreccia memorie (auto)biografiche e questioni fondamentali come l’educazione e la tutela dei fanciulli in una drammaturgia raffinata e intrigante, tra suggestioni novecentesche – da Tadeusz Kantor a George Tabori – e il fascino del teatro di figura, con una trama enigmatica e inafferrabile come i sogni, o gli incubi ricorrenti: una partitura “corale” fatta di silenzi e respiri, rumori di gessetti sulla lavagna e fruscii di matite in un tempo sospeso in cui un gruppo di bambini sperimenta l’ansia e l’inquietudine davanti alla figura severa e inflessibile di una terribile maestra, l’indimemticabile Suor Lidia. Nell’età dell’innocenza, la rigida educazione impartita nell’Istituto delle Suore di Carità infligge traumi duraturi e disegna l’ombra della paura, peggiore perfino dell’attesa punizione, segnando indelebilmente i bambini vittime di una durezza inusitata ancorché “a fin di bene”, come si diceva o pretendeva una volta: una storia di abusi forse inconsapevoli e involontari, secondo un modello arcaico per cui perfino l’affetto e l’attenzione si manifestano a suon di botte e castighi, in contrasto con l’indifferenza e l’abbandono, senza traccia di comprensione o tenerezza verso i “cuccioli della specie”.
“La Classe” scaturisce dall’esigenza di confrontarsi con i nodi irrisolti dell’infanzia, con episodi imbarazzanti e difficili da raccontare, oggetto di una sorta di “rimozione” individuale e collettiva, dove gli eventuali utili insegnamenti si confondono con una precoce “ansia” e con il timore di sbagliare, di infrangere le regole e meritare, si fa per dire, una punizione. Fantasmi di un’epoca remota che riaffiorano, con l’effigie della spietata Suon Lidia e i volti degli antichi compagni, in attesa (forse) di una possibile catarsi: l’idea dello spettacolo nasce e prende forma in seguito a un’accurata indagine e ricostruzione dei fatti, attraverso una serie di interviste ai protagonisti di una vicenda ormai trascorsa e lontana nel tempo, ma vivida e presente, sia pure per sprazzi e dolorosi frammenti, nella memoria.
Una storia emblematica (o quasi) e un’esperienza condivisa da una folla di bambini di diverse nazionalità e generazioni, laddove il mondo degli adulti si scontra senza mediazioni e senza tener conto delle peculiarità individuali, dei bisogni, delle radici e del vissuto di ciascuno, con le necessità e le fragilità dell’infanzia. Fabiana Iacozzilli ricostruisce in un originale “docupuppets” le cronache tristi di quei giorni, la dimensione dell’orrore e del terrore ripensate in una prospettiva ormai “adulta”, da sopravvissuta, attingendo ai propri e altrui ricordi per restituire le atmosfere inquietanti di quelle difficili lezioni di vita – ma anche lasciandosi sorprendere da inattese intuizioni su quella parentesi scomoda e per certi versi inconfessabile, come dalla scoperta della propria “vocazione”.
In scena – insieme alla stessa Fabiana Iacozzilli, autrice e regista nonché “animatrice” de “La Classe” – le misteriose “creature” realizzate da Fiammetta Mandich, oltre ai performers Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni e Marta Meneghetti, per un singolare affresco dei giorni di scuola con il disegno luci di Raffaella Vitiello e il progetto sonoro di Hubert Westkemper (Premio Ubu 2019) – fonico Jacopo Ruben Dell’Abate. Una produzione di Antonino Pirillo e Giorgio Andriani – co-produzione CrAnPi, Lafabbrica, Teatro Vascello, Carrozzerie N.O.T. con il supporto di Residenza IDRA e Teatro Cantiere Florida/Elsinor nell’ambito del progetto CURA 2018, e di Nuovo Cinema Palazzo – con il sostegno di Periferie Artistiche Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio.
Sguardi sull’universo dell’infanzia, sui dolori segreti e le inquietudini, le (dis)avventure, le affinità e le differenze di un gruppo di bambini, vittime incolpevoli di abusi con “La Classe” che trasfigura in icastiche marionette i protagonisti, grandi e piccini, mettendo in moto un amaro “gioco della verità” da cui emergono responsabilità e “colpe”, per (far) rivivere in forma simbolica un trauma dell’infanzia – mostrando gli effetti sconvolgenti di una forse ignara crudeltà.
«Dal 1983 al 1988 io e altre trenta anime siamo stati gli alunni di una classe elementare in un istituto gestito da suore e che oggi ospita una casa per ferie. L’Istituto portava il nome di Suore di Carità. La nostra unica maestra, anche lei suora di carità, era Suor Lidia ed è morta più di vent’anni fa» spiega Fabiana Iacozzilli nelle note. «Non è stato mai facile per me raccontare gli anni trascorsi in Istituto e la rigidità dell’educazione alla quale ci sottoponevano. A distanza di trent’anni ho deciso che avrei realizzato uno spettacolo a partire da quei ricordi e mi sono messa alla ricerca dei miei ex compagni, ritenendo indispensabile ricreare quella “comunità” con la quale ho condiviso l’esperienza in questione. Per iniziare a ricomporre i tasselli della “storia” li ho intervistati, ponendo loro domande molto semplici: “Com’era Suor Lidia?”; “Cosa ti ricordi di lei?”; “Ti ricordi cosa accadeva in classe?”; “Sei stato felice quando è morta?”».
“La Classe” rappresenta «un rito collettivo in bilico tra “La classe morta” di Kantor e “I cannibali” di Tabori in cui l’adulto rilegge i ricordi di un’infanzia vissuta nella paura di buscarcele, interpretati da pupazzi in mano a un misterioso deus ex machina» sottolinea la drammaturga-regista. «Questi ricordi/pezzi di legno, bambini ridotti a marionette, fantocci di gioventù morte, impotenti e manipolati come oggetti, si muovono senza pathos su dei tavolacci che ricordano banchi di scuola, tavoli da macello o tavoli operatori di qualche esperimento che fu. Intorno silenzio. Solo rumori di matite che scrivono e di compagni che respirano. E poi rumori di gessi che si consumano scrivendo dettati alla lavagna…. Nel silenzio dei loro passi, questi corpicini di legno si muovono in un Mondo-Suor Lidia che pure Dio abbassa lo sguardo quando la vede. Suor Lidia, unica presenza in carne ed ossa, figura viva di donna o uomo in mezzo a tutti questi oggetti, sfugge alla vista di pupazzi e pubblico. Ne possiamo sentire i passi, vedere le mani, cogliere nel buio qualche tratto, sentire l’odore del suo sigaro magari. Sentiamo che ci fa paura, che in fondo, nel fondo più fondo di ognuno di noi, pubblico pupazzo performer tecnico tavolo o compagno di classe, lei è generatrice di paura».
Lo spettacolo propone un’attenta «riflessione sul senso profondo del ricordo» che senza rinnegare la sofferenza e neppure l’amarezza cerca una nuova chiave di lettura, un modo per ricomporre i pezzi, partendo da un interrogativo cruciale: «“che cosa ci facciamo con il dolore?”; “cosa ogni essere umano è in grado di diventare a partire dal proprio dolore?”». Così, conclude Fabiana Iacozzilli: «Dal vuoto allora è emerso il ricordo di una scena in cui Suor Lidia mi affida la regia di una piccola scena all’interno della recita per la festa della mamma. E decide, forse, insieme a me la mia vocazione. Dunque “La Classe” è uno spettacolo che voleva parlare di ABUSI DI POTERE ma parla di VOCAZIONI. La mia e la sua. Uno spettacolo in cui tutti hanno ragione: sia quelli che dicono che nessuno guarisce dalla propria infanzia, sia quelli che dicono che tutto dipende da quello che ci facciamo con la nostra infanzia».
“La Classe” di Fabiana Iaccozzilli ha ottenuto il Premio della Critica 2019 – assegnato dall’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro – con la seguente Motivazione:
Con La classe_un docupuppets per marionette e uomini, Fabiana Iacozzilli e Fiammetta Mandich, affrontano con l’entusiasmo e il coraggio del neofita il teatro di figura. Lo spettacolo, ricco di soluzioni intriganti, sia drammaturgiche, sia figurative, più che una storia compiuta è un insieme di quadri che restituiscono le luci e le ombre della condizione infantile. Iacozzilli, oltre a mostrare a vista gli animatori, con una ulteriore, coerente scelta di stracciamento, rivela la genesi del suo progetto facendo ascoltare in oversound le interviste ai sui antichi compagni della scuola elementare, alternate ai suoi ricordi personali: voci che conferiscono un’ulteriore suggestione ai pupazzi che Fiammetta ha creato, partendo dalle immagini di vecchie foto di classe.
A parte le testoline, ritratte con un certo realismo, i pupazzi richiamano i disegni infantili, citati dalle figure e dalle parole tracciate col gesso su una lavagna. Si apprezza l’originalità della gestione spaziale: ignorando le strutture tradizionali del teatro di figura, i puppets e i loro minuscoli attrezzi scolastici poggiano su bancali che si spostano lungo tutta l’estensione del palcoscenico, mossi dai medesimi animatori che danno loro vita e voce, anche interagendo affettuosamente coi pupazzi. Ma attorno a quelle figurate circola un che di funereo che, senza patetismi né sentimentalismi, ci parla della nostalgia per una stagione lontana, a un tempo felice e dolorosa, e dell’indifferibile trascorrere del tempo. E ciò rende non casuale, né incongrua, l’assonanza del titolo col capolavoro di Kantor.