Maria Antonietta Rositani
A 42 anni, Maria Antonietta non si sarebbe mai aspettata di finire in coma farmacologico a causa del suo ex-marito. Mamma di due figli, fu lui ad appiccarle il fuoco sprezzante: la raggiunse in una trafficata strada di Reggio dove, a cielo aperto, le urlò, bruciandola: “Muori!”. Maria Antonietta, però, non si è arresa e non si arrende nemmeno ora. Ha, invece, trasformato quell’urlo disumano in un grido di forza per lei e i suoi figli.
Maria Antonietta, cosa rappresenta per lei questa giornata?
“Per me dovrebbe rappresentare un riscatto, perché faccio parte ancora di queste donne che possono combattere contro questi esseri mostruosi. L’appello che faccio a loro è non smettere mai di lottare e denunciare, perché la giustizia esiste, ed è quella di Dio. Nessuna donna ha il diritto di essere spogliata dalla dignità”.
Lei parla di giustizia umana e divina. Perché?
“La giustizia umana, purtroppo, tende a sbagliare, perché a monte non vengono presi tutti gli accorgimenti necessari. Nel mio caso, è stato messo agli arresti domiciliari un soggetto che era, invece, pericoloso. La giustizia vera è quella di Dio, l’unica che dà consolazione”
La fede le dà una grande forza?
“Per me Dio è un involucro che mi protegge da qualsiasi minaccia. Quando sono con Lui sento lo stesso calore ‘buono’ che ho provato quando ho deciso di lasciare il mio ex e scappare dai miei figli. È una sensazione meravigliosa, che non porta sofferenza”.
Liliana Segre
La senatrice a vita Liliana Segre è una donna profondamente legata alla sua esperienza di sopravvissuta alla Shoah. Per questo avverte dai rischi di banalizzazione che oggi possono essere fatti verso le donne, anche in una società che sembra aver metabolizzato gli orrori dei totalitarismi. “La frase che riassume la donna della Shoah è quella scritta da Primo Levi: come una rana d’inverno. Senza capelli e senza la forza di ricordare. Poi, c’è la donna sopravvissuta alla Shoah che ha il dovere di ricordare” commentava due anni fa, a margine del convegno Punti di luce: le donne nella Shoah organizzato a Palazzo Lombardia a Milano.
Dopo essersi battuta per la creazione di una commissione contro l’odio razziale e l’antisemitismo, la Segre ha ricevuto tante minacce di morte, al punto da convincere la Prefettura di Milano ad assegnarle uno scorta armata. Nonostante questo, Segre non si è mai data per vinta: lo scorso novembre il Parlamento ha votato a maggioranza a favore della proposta della senatrice di istituire una commissione contro il razzismo e l’antisemitismo che servirà a monitorare la recrudescenza di questi fenomeni ed esaminare disegni di legge volti al loro contrasto, insieme alla promozione di iniziative volte a sensibilizzare sul tema.
Greta Thunberg
Ha conquistato la copertina che a fine anno il Time dedica alla persona dell’anno. A soli 16 anni l’attivista svedese è una delle donne più influenti sulle nuove generazioni. Una borraccia l’arma della sua rivoluzione, insieme a una tenacia che l’ha portata un anno e mezzo fa a presidiare, con un modesto sit-in, la sede del Parlamento svedese. “Ha dato voce a un problema globale” disse di lei il caporedattore della rivista di Cbs Today Show, Edward Felsenthal. Oggi, grazie al suo comportamento, un’intera generazione mondiale segue il suo esempio votato non solo al rispetto del pianeta, ma anche alla richiesta di maggiore sensibilizzazione ai vertici istituzionali. Grazie a lei, giovani smarriti hanno preso in mano il loro futuro, chiedendo agli adulti interventi incisivi ed efficaci per contrastare il cambiamento climatico.
Asia Bibi
“Finalmente libera!” è il titolo della biografia scritta da Asia Bibi con la giornalista Anne-Isabelle Tollet. La cristiana pachistana è un simbolo di resistenza non solo sociale, ma anche nella fede. Perseguitata in Pakistan per la sua fede cattolica, ha patito pene infernali nel centro di detenzione di Shekhupura. Ammanettata, costretta a subire vessazioni continue, è stata deprivata dell’affetto dei suoi cari, soprattutto i figli: “Quando chiudo gli occhi, rivivo ogni istante” scrive nella sua biografia. In questo periodo di dura prova, non ha mai rinunciato alla sua fede, anzi ha attinto da essa la forza per poter vivere. Oggi è libera e può lodare Dio per il dono della fraternità che le è stato fatto da tutti coloro che in questi dieci anni le hanno mostrato il loro sostegno.
Le donne di Herat
Nella prigione di Herat, città dell’Afghanistan, sono detenute centinaia di donne. Alcune di loro hanno figli nati dallo stupro perpetrato da mariti violenti. Molte di loro hanno rischiato la vita, per questo non hanno avuto altra scelta che uccidere il loro carnefice. Oggi, fra le stanze dei centri di detenzione, si sentono “libere”, anche se spesso non hanno una protezione legale. Come Fatima, una donna di 39 anni, continuamente percossa dal marito e una volta ferita con un colpo d’arma da fuoco: nonostante questo, è stata condannata a 20 anni di prigione. Natasha Latiff, un avvocato che rappresenta lei ed altre donne, ribadisce che queste forme di violenza sono una “norma culturale” in Afghanistan. La strada per il riconoscimento legale è ancora lunga, ma almeno queste donne sentono tutto il respiro della libertà di vivere serenamente, nonostante tutto.