In queste ore si rincorrono tante notizie su diversi giocatori di Serie A positivi al test del coronavirus. Com’è la situazione tra i tesserati e addetti ai lavori delle squadre di Serie C?
Abbiamo avuto dei casi, come quello della Pianese, della Reggiana e della Vis Pesaro. E’ancora in corso il caso del presidente del Novara. L’ex presidente della Pergolettese, Andrea Micheli, è morto a 37 anni. La stessa amara sorte ha colpito il medico sociale della Pergolettese, Gentile. Per quanto riguarda i calciatori, il primo caso di positività al virus è stato quello della Pianese, ed è stato ciò che ci ha spinto a chiudere rapidamente il campionato, il 21 di febbraio. Nella notte del 22, telefonandoci in piena notte, abbiamo riferito che l’indomani le squadre del Veneto e della Lombardia non avrebbero giocato. Subito dopo, abbiamo sospeso il girone A e il girone B e, conseguentemente, abbiamo poi sospeso il campionato. Dobbiamo riconoscere che l’elemento determinante in questa scelta è stata la sospensione delle partite al nord. Quando, allora, fummo i primi a prendere quel provvedimento, mi auguravo in cuor mio di sbagliarmi. Avrei preferito sentire che Ghirelli fosse stato avventato. Purtroppo non è stato così, come testimonia il dolore davanti ai nostri occhi in questi giorni. Abbiamo come priorità la salute e abbiamo risposto immediatamente al problema. Nella gestione di quest’emergenza, ci ha aiutato un po’ la conoscenza di altri tipi di virus, come l’ebola e la Sars. Abbiamo visto cosa è successo nei paesi colpiti da queste epidemie, abbiamo visto come nessun muro, nessuna frontiera o filo spinato aveva fermato quei virus. Inoltre, credo abbia avuto un ruolo fondamentale anche la lezione di Bill Gates, quel visionario che profetizzava che la prossima guerra sarebbe stata “la guerra dei virus”. Molti l’hanno dimenticata. Nessuno lo ha ascoltato, e invece bisognava farlo.
Come per tante realtà, l’emergenza coronavirus sta avendo impatti negativi anche sull’economia della Lega Pro. Verranno messe in atto misure di sostenimento da parte del Governo per proteggere economicamente le squadre?
Noi eravamo già in una situazione di difficoltà. Abbiamo messo in atto delle misure che avevano dato credibilità al campionato, tant’è vero che i punti di penalizzazione sono irrisori rispetto allo scorso anno, in cui ne avevamo 300. Inoltre, avevamo portato 600.000 spettatori in più rispetto al girone d’andata. Si immagini, adesso, gli stadi vuoti. A sferrare il colpo decisivo, l’arrivo di questa crisi, che rischia di incidere almeno del 30% sul fatturato medio annuo delle squadre e che potrebbe portare ad un’escalation per ciò che concerne il problema della continuità aziendale: se un imprenditore, proprietario di un club, entra in crisi per i motivi che sono davanti agli occhi di tutti, quasi sicuramente sceglierà di mantenere in vita l’azienda madre, sacrificando così la sua squadra di calcio. Ciò farebbe diventare più povero il paese, perché la Serie C è il calcio che fa bene al paese, perché noi siamo un grande impianto sociale piuttosto che un’azienda. Noi siamo più “no profit”: i presidenti, di propria tasca, immettono denaro per ripianare i debiti dell’azienda, alla fine dell’anno. Se tutto questo viene a mancare, l’Italia perde una parte di quella forza che ha, quella di quel reticolo nascosto, invisibile che regge questo paese: il volontariato. La forza di tutte le persone che lavorano nelle zone più infette della Penisola per salvare vite, degli operatori della Croce Rossa, dei medici, degli infermieri, moderni eroi di quest’epoca. Non dimentichiamo la forza delle aziende, quelle che si sono reinventate per produrre mascherine e ventilatori. E poi ci siamo noi, italiani dalla forte connotazione di solidarietà: in tutto il territorio, sono 90 le iniziative realizzate dalle nostre società per raccogliere fondi destinati agli ospedali. Le stesse iniziative che i calciatori promuovono tramite i social, che prima dell’arrivo del virus erano spesso considerati strumento di solitudine e di separazione, e che invece, adesso, costituiscono il luogo delle interrelazioni sociali. In questo contesto, i giocatori si trasformano in educatori: giocando a pallone nella propria casa, dimostrano di rispettare le norme sanitarie e, allo stesso tempo, fanno sperare in un ritorno a breve termine delle competizioni sportive. Condividono speranza e gioia in un momento così tragico. Questo è il nostro paese. Se il virus abbatte anche tutto questo, noi usciremo da questa crisi indifesi, poveri e incapaci di rispondere dal punto di vista sociale. La Lega Pro ha bisogno da parte del Governo di un po’ di “benzina”, quella necessaria per ripartire. Tutto il resto, lo faremo noi. Se uno stato moderno mette in campo delle risorse fiscali che servono a rimettere in piedi l’impiantistica, i centri sportivi, la formazione, ciò favorisce l’arrivo di indotti, significa che altre persone investono, cresce l’occupazione, fino a un aumento delle entrate anche per il fisco: questa è la sussidiarietà che noi proponiamo. Sarà compito della Lega Pro, in seguito, tagliare i costi e fare dei sacrifici. Nell’ultimo incontro con l’A.I.C., ho detto al presidente Tommasi: “Non siamo in una trattativa sindacale. Noi ci troviamo in uno scenario postbellico”. Questo virus, come in guerra, ha bombardato il nostro gioco. Dobbiamo ricostruirlo. Per questo, non esiste nessuna trattativa sindacale da realizzare. Bisogna aprire la fase della “pace dopo la guerra” e collaborare. Altrimenti, corriamo il rischio di non poter più ricostruire il calcio.
Quante società, al momento, riescono a coprire gli stipendi dei propri tesserati? Ci saranno punti di penalizzazione per chi non verserà i propri emolumenti ai tesserati?
Il 16 marzo, 57 squadre su 60 sono riuscite a stipendiare i propri tesserati. Il problema arriverà nelle prossime settimane. La Serie C si regge sugli incassi, dipende dalla presenza dei tifosi allo stadio. Ora gli stadi sono vuoti. Questo è un serio danno.
Qual è, secondo Lei, una data limite per il ritorno in campo delle squadre, affinché si possa sperare di concludere la stagione 2019/2020? Sono state fatte delle ipotesi di calendario in questo senso?
Io spero si torni a giocare domani. Lo speriamo tutti. Dopodiché, bisognerà chiederlo alle autorità sanitarie e scientifiche, per poi passare al Governo, al Coni e alla FIGC. Solo dopo questi step, ci siamo noi della Lega Pro. Tuttavia, i protagonisti di questa trafila decisionale sono ostacolati da un unico problema comune: questo subdolo virus che circola nel paese e nel mondo. Bisognerà vedere quando lo sconfiggeremo, in modo che le autorità sanitarie ci diano il via per la ripresa. Il nostro compito, come quello che mette in atto una governance in emergenza, è quello di predisporre tutte le misure per qualsiasi data si possa iniziare, auspicando una cosa: che non ci sia nessuna società che varchi il portone del tribunale di giustizia, civile o sportivo. Lo scenario futuro, all’indomani del superamento del coronavirus, sarà quello in cui la gente sarà addolorata dalla perdita dei propri cari, quello in cui avrà la preoccupazione di capire se il proprio lavoro abbia ancora qualche prospettiva o se sia finito. In ogni caso, qualsiasi interesse di qualsiasi società non deve permettere che venga varcata la soglia di quel tribunale, civile o sportivo che sia, perché questo spezzerebbe in maniera drammatica e radicale il rapporto tra il calcio e il paese, con il rischio che il pallone del gioco più popolare d’Italia possa rapidamente sgonfiarsi. Il nostro compito sarà quello di lavorare insieme per trovare le soluzioni migliori per il contesto che viviamo e che vivremo, ma guai che qualcuno, come è già successo in passato, per difendere i propri interessi inizi a litigare e a intraprendere strade sbagliate, perché sarebbe irreparabile.
L’impatto economico potenziale del coronavirus sulle squadre di Lega Pro parte da un minimo di 20 a un massimo di 84 milioni di euro. Sono già state formulate, anche in astratto, delle misure per sopperire ad una perdita così ingente?
Sono state formulate una serie di ipotesi: il credito d’imposta, l’apprendistato, l’idea di riaprire la questione del semi-professionismo, gli sgravi fiscali. I nostri presidenti spesso effettuano finanziamenti a fondo perduto e, nonostante ciò, subiscono un carico fiscale del 50%. Bisogna invece pensare a delle formule incentivanti, che valorizzino un intervento del genere, piuttosto che penalizzarlo. Per questo motivo, occorrerebbe costruire un fondo nel quale ci siano la cassa depositi e prestiti, l’istituto di credito sportivo, una parte delle risorse del monopolio sulle scommesse, liberate dal carico fiscale, in modo tale da non gravare sullo Stato, un fondo dal quale le società possano attingere per prendere respiro in una situazione così difficile. Come ho precedentemente chiarito, quindi, l’intervento che chiediamo al Governo è solo parziale ed iniziale, perché per il resto sono tutti interventi di sussidiarietà di cui noi ci facciamo carico. Il taglio dei costi è una delle misure essenziali da mettere in atto, così da metterli in sostenibilità in un contesto completamente cambiato. Adesso sarà compito del presidente Gravina assemblare tutte queste proposte e discuterne con il Governo.
Quali misure verranno adottate, in tema di prevenzione e tutela dei tesserati, in un’eventuale ripresa del campionato?
Questo è il vero grande problema. Come dicevo prima, ci troviamo nel “postbellico”, ma esiste una grande differenza tra il dopoguerra e il nostro scenario post-virus: mentre nel dopoguerra la gente era felice, perché la guerra era finita, usciva fuori di casa e festeggiava con gli altri, aveva una grande voglia di condivisione, il virus, invece, ci lascerà la paura dell’altro e del contagio silenzioso, quella paura che ci fa chiudere in casa e che ci fa guardare l’altro con sospetto. Lo stadio è aggregazione, assembramento di migliaia di appassionati: che tu voglia o no, sei a strettissimo contatto con la gente che ti sta intorno, dopo essere stato abituato alla reclusione in casa per settimane. In questo modo, si corre il rischio, che prima invece era un’opportunità e una gioia, che l’altro, per esultare, ti salti addosso, ti urli davanti al viso e tu sei senza mascherina. Questo è un problema drammatico per il calcio. Significa dover riprogettare un gioco, un percorso consolidato finché non sarà disponibile un vaccino. Si pensi a cosa sia stata, nell’immaginario collettivo, la notizia su quanto possa aver inciso Atalanta-Valencia sulla propagazione del virus. Questa è un’immagine che rappresenta un macigno per la collettività, che mette in discussione tutti i riti del calcio in maniera radicale. Per questo motivo, bisogna riprogettare questo sport tramite una grande riforma, che sia coeva e pertinente allo scenario di oggi, totalmente diverso da quello esistente prima dell’arrivo del coronavirus.
C’è la possibilità di cancellare l’intera stagione o, in ogni caso, come previsto dal terzo scenario dello “stop campionato” proposto dalla Lega Pro, si completerà a porte chiuse nei primi due mesi della prossima stagione?
Sì, è uno degli scenari di cui bisogna tener conto. In ogni caso, prima dell’arrivo di un vaccino in grado di stabilizzare una situazione d’emergenza di questo tipo, non si ha la certezza di quando poter recuperare. Magari si potesse recuperare a novembre! Dipendiamo dalle condizioni sanitarie e dalla scoperta di un vaccino in grado di poterci far superare le attuali difficoltà.
Si sente di aggiungere qualcosa in merito al momento che sta attraversando la Lega Pro e tutte le società dei tre gironi?
Voglio ringraziare le mie società per lo sforzo che stanno facendo per resistere alla crisi e per la solidarietà che mettono in campo. Hanno creato 90 iniziative per sostenere i medici e tutte le autorità sanitarie che lavorano negli ospedali. Questo è il grande cuore della Serie C. Spesso mi chiedono: “Ma chi te l’ha fatto fare di essere il presidente della Serie C?”. Ecco, quando vedo queste cose ho la risposta. Sono felice di esserlo, perché mi considero un presidente “pro tempore”, come è giusto che sia, ma in questo momento così difficile vedo quando quanto cuore e solidarietà abbiano queste 60 società, in questa occasione schierate non sul campo, ma schierate in difesa del proprio paese per sconfiggere questo maledetto virus.