Com’è nata la sua “vocazione” da vaticanista?
“È nata quasi 40 anni fa, all’inizio degli anni Ottanta, quando mi fu proposto di lavorare come giornalista in un mensile internazionale di informazione religiosa che stava muovendo i primi passi e si chiamava 30Giorni. Fu una scuola importante per imparare un modo diverso di raccontare la Chiesa: con grande serietà e bella scrittura, senza scandalismi ma anche senza odor di sacrestia. Ebbi l’opportunità di ricevere tanti buoni consigli da maestri come Vittorio Citterich e Angela Buttiglione, storici giornalisti Rai che accompagnarono la redazione in quei primi anni ed ebbi anche la fortuna di crescere in una squadra affiatata di giovani giornalisti cattolici capitanati dal mitico Alver Metalli, una scuola in cui nel corso degli anni si formarono fior di giornalisti come Marina Ricci, Stefano M. Paci, Gianni Valente, Stefania Falasca, Paolo Mattei e molti altri. Ma l’anima ispiratrice, un vero vulcano di fede e intelligenza cristiana fu per tutti noi un grande sacerdote, don Giacomo Tantardini, discepolo di don Giussani, un brianzolo che a Roma fece tanto bene a migliaia di giovani”.
Come s’intreccia la sua storia personale con quella del Papa?
“L’intreccio si deve in buona parte proprio al mensile 30Giorni. Io dal 1995 ero passato a lavorare in Rai, al Tg2, ma ebbi modo di conoscere il cardinale Bergoglio a casa di due colleghi e carissimi amici romani, Gianni Valente e Stefania Falasca. Gianni era stato a Buenos Aires per realizzare un reportage per il mensile ed aveva incontrato anche il cardinale argentino, rimanendo molto colpito dalla sua personalità. I suoi racconti mi avevano affascinato e quindi non vedevo l’ora di conoscere Bergoglio di persona, cosa che avvenne nell’ottobre 2005, otto anni prima della sua elezione pontificia, in occasione di un suo viaggio a Roma per il Sinodo mondiale dei vescovi”.
Ricorda un aneddoto del Papa che la colpì particolarmente?
“Nel libro racconto diversi episodi. Il più indimenticabile resta per me un ricordo proprio del primo incontro. Alla fine della cena Bergoglio mi prese un attimo da parte, dicendomi che aveva una cosa da chiedermi. Sapevo che non gli era piaciuto un mio articolo pubblicato sulla rivista Limes in cui avevo rivelato i retroscena del Conclave che elesse Benedetto XVI, e mi aspettavo un suo rimprovero. Mi sorprese invece, chiedendomi se potessi pregare per lui. Fu il modo in cui me lo chiese a colpirmi: il suo sguardo mite e la sua attesa. Si capiva che non era un convenevole clericale. Sembrava in quel momento che la mia risposta fosse per lui la cosa più importante al mondo”.
Che sacerdote è Papa Francesco?
“Un sacerdote con il quale viene facile aprire la propria anima. Un sacerdote che prega tanto. Un sacerdote che prova gioia nell’annunciare il Vangelo, a tutti e specialmente alle persone più lontane dalla Chiesa”.
Spesso si lega il Pontefice alla Chiesa, come se essa dovesse finire con Francesco. Lei cosa pensa?
“Penso sia una gran stupidaggine… A me non sono mai piaciute espressioni tipo ‘la Chiesa di Francesco’. La Chiesa non è di proprietà di nessuno, nemmeno dei papi. La Chiesa è di Gesù Cristo e i papi non hanno altro compito che confermarci nella fede in Cristo. Non aiutano papa Francesco quelli che lo presentano come un leader separato o quasi contrapposto alla grande Tradizione della Chiesa. Non è così, lui stesso è il primo a rifiutare questo ingabbiamento ideologico. Una cosa è certa: la Chiesa vive nella storia non per i nostri sforzi ma solo perché il Signore vuole che viva. Altrimenti sarebbe già stata archiviata dalla storia. Nel 1806 Napoleone mentre portava via prigioniero verso la Francia papa Pio VII, si rivolse sprezzante al cardinale Consalvi, segretario di Stato, dicendogli: ‘In pochi anni, io avrò distrutto la Chiesa!’. Il cardinale gli rispose: ‘No, Maestà! Non ci siamo riusciti noi preti, a distruggerla, e in 17 secoli! Non ci riuscirà neppure lei’”.
Stiamo vivendo un’emergenza sanitaria senza precedenti. Come sta vivendo il Papa, portato per sua indole ai gesti e al contatto, questa situazione?
“Il cardinale Tauran diceva che Francesco è un papa ‘da toccare’ così come Wojtyla era un papa ‘da vedere’ e Benedetto un papa ‘da leggere’. Gli costerà fatica in questo tempo non poter stringere mani, ricevere e scambiare abbracci, insomma il contatto fisico con i fedeli. Capisce ovviamente che questa ‘astinenza’ è per un bene più grande, evitare la diffusione del virus, e quindi salvare vite”.
E come vive, secondo lei, lo scenario inedito di sacerdoti che celebrano la Santa Messa a porte chiuse?
“Papa Francesco non si arrende all’idea che la Chiesa debba solo subire questa situazione senza cercare di essere in qualche modo vicina a una popolazione impaurita e costretta a una sorta di necessari ‘arresti domiciliari’. La possibilità di assistere in diretta, alla tv o in streaming, alla messa mattutina di santa Marta è già una grande compagnia per tanti credenti. Ci vuole tanto senso di responsabilità da parte dei sacerdoti in questi giorni ma anche tanto coraggio e fantasia per accompagnare le persone, mai come adesso bisognose di segni di speranza e fraternità”.
di Marco Grieco
Fonte: www.interris.it