Sindrome metabolica: l’identikit
Secondo la Federazione Internazionale del Diabete (FID), il 20-25 % della popolazione mondiale, presenta 3 o più dei seguenti segni clinici:
- girovita > 89 cm nelle donne e > 102 cm negli uomini;
- pressione ≥ 130/85 mm di mercurio;
- glicemia a digiuno > 100 mg/dL;
- trigliceridi > 150 mg/dL;
- colesterolo HDL < 40 mg/dL negli uomini e < 50 mg/dL nelle donne.
Ciò che abbiamo appena definito è la Sindrome Metabolica (SM), che non è una malattia, bensì un fattore di rischio per il diabete, l’infarto e l’ictus.
Come se ciò non bastasse, gli studi epidemiologici l’hanno associata pure al declino delle funzioni cognitive, quali:
- memoria;
- attenzione;
- velocità di elaborazione;
- pianificazione;
- fluidità verbale;
- abilità visuo-spaziali.
Ma gli studi dimostrano altresì che praticare regolarmente esercizio fisico può contrastare sia la SM, perché migliora il metabolismo degli zuccheri e dei grassi, sia il deterioramento cognitivo.
Poiché le funzioni cognitive entrano in gioco anche durante gli sport – per coordinare bene i movimenti, ad esempio -, quando ci alleniamo il sangue affluisce nelle aree cerebrali che controllano tali funzioni, che, in tal modo, lavorano al meglio.
Nelle persone con la SM, tuttavia, può accadere esattamente il contrario: lo sport, anziché aumentare il flusso ematico cerebrale, lo riduce, causando affaticamento precoce e il rifiuto per l’attività fisica.
Un gruppo di ricerca dell’ateneo cagliaritano ha deciso di studiare proprio questo fenomeno. Scopriamone di più!
La ricerca di Unica su sindrome metabolica e declino cognitivo
Allo studio hanno preso parte 27 partecipanti suddivisi in due gruppi:
- gruppo di intervento (13 persone con la sindrome metabolica);
- gruppo di controllo (14 persone sane).
Tutti i partecipanti, dopo essersi sottoposti ai controlli per valutare salute e abilità fisiche, sono stati ammessi alla fase sperimentale.
Lo scopo era quello di valutare le prestazioni cognitive e il flusso cerebrale dopo l’esercizio fisico, attraverso una prova mentale (Bivalent Shape Test, BST) condotta nel frattempo che il bicipite (precedentemente sottoposto a sforzo) era stretto con un laccio emostatico, per ridurre la circolazione.
Ma cosa è emerso dalla ricerca?
Per quanto riguarda le prestazioni mentali, il gruppo di intervento è stato meno prestante rispetto a quello di controllo.
I suoi componenti, infatti, impiegavano più tempo a riconoscere le forme nel monitor, perché venivano distratti dai loro colori.
Quando il test è stato effettuato con il braccio stretto dal laccio emostatico, inoltre, gli autori hanno osservato che nei volontari sani il flusso cerebrale aumentava, mentre in quelli con la SM diminuiva, confermando i risultati degli studi precedenti.
Le cause alla base di questo fenomeno, tattavia, sono ancora sconosciute.
Può darsi che nelle persone con SM il sistema nervoso ortosimpatico – che aumenta il tono dei vasi sanguigni – funzioni troppo, impedendo al sangue di affluire al cervello in caso di aumentate richieste metaboliche.
Ciò non toglie che questa scoperta sia molto importante, perché potrebbe spiegare come mai le persone con SM rinuncino a fare sport, nonostante le linee guida lo raccomandino per favorirne la regressione.
Le funzioni cognitive, infatti, sono necessarie per modificare lo stile di vita e per mantenere questi cambiamenti.
Ma se c’è un deficit delle funzioni succitate, come nelle persone con la SM, queste ultime dopo un po’ non faranno più esercizio fisico – considerato troppo impegnativo – a scapito della loro salute.
In conclusione…
Questo studio dunque, pur con le sue limitazioni, pone le basi per ricerche future che aiutino a capire il fenomeno osservato dai ricercatori di Unica e che aumentino l’aderenza allo sport delle persone a rischio.
Non sedersi dopo i pasti e spostarsi a piedi o in bicicletta, anziché in auto, potrebbe essere già un buon inizio. Non credete anche voi?
Jessica Zanza