Noi dello “Sportello dei Diritti” sono anni che continuiamo ad assistere le vittime e i loro familiari, in una guerra che purtroppo contrappone ancora ex lavoratori e datori di lavoro.
Vittime dell’amianto: la sentenza della Cassazione
Significativa in tal senso – per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” – la sentenza 12151/20 depositata ieri, 15 aprile, dalla quarta sezione penale della Cassazione, secondo la quale va condannato per omicidio colposo il datore dopo la morte del lavoratore a causa del mesotelioma pleurico, anche se è stato esposto a bassissime dosi di polveri.
La patologia può insorgere per dosi cumulative anche modeste. Nessun dubbio sull’origine professionale della malattia. Vanno escluse altre cause come il vizio della sigaretta e, dunque, manca un elemento causale alternativo di innesco della patologia.
Nella fattispecie, diventa definitiva la condanna per omicidio colposo inflitta dal Tribunale di Vercelli e confermata dalla Corte d’Appello di Torino ai titolari dell’impresa dopo la morte di un’operaia addetta allo smontaggio degli arredi di carrozze ferroviarie.
Lo confermano tutti i testimoni: nel reparto si liberavano polveri di amianto con l’uso del trapano e dello svitatore e non c’era un impianto di aspirazione, mentre la decoibentazione è entrata in funzione soltanto in un secondo momento. In particolare, l’esposizione all’amianto è accertata sulla base delle deposizioni dei colleghi.
La diagnosi di mesotelioma pleurico, poi, risulta confermata dall’esame istologico e riconducibile all’inalazione di polveri d’asbesto: le discordanze fra consulenti del pm e perito d’ufficio sono solo apparenti e ricondotte a unità dai chiarimenti degli esperti.
L’asbestosi «minima G1» è compatibile con l’esposizione «moderata» all’amianto ma «significativa» di un’esposizione professionale confermata da un periodo di latenza nel range dell’insorgenza di un tipo di tumore del genere: sono infatti esclusi gli elementi morfologici che distinguono il carcinoma ascrivibile al tabagismo.
È l’assenza di inneschi alternativi della malattia la legge scientifica di copertura universalmente condivisa in base alla quale è affermata la responsabilità degli imputati, che non si fonda sulla teoria dell’effetto acceleratore, non condivisa in tutta la letteratura internazionale.