Il Coronavirus rischia di spazzare via anche gli ultimi pilastri della suinicoltura sarda, quelli che hanno resistito a 40 anni di peste suina.
E’ un vero è proprio grido di allarme quello che arriva dagli allevatori di suini che in oltre 40 anni di Psa e 10 consecutivi di divieto di esportazione delle carni oltre i confini sardi rischiano adesso di essere travolti dalle conseguenze economiche dal lockdown e dalle speculazioni del mercato.
Dopo un piccolo e stretto varco apertosi gli ultimi giorni prima di Pasqua, il mercato è caduto in un sonno profondo che rischia di essere lungo e deleterio.
Oltre il 70% della produzione sarda dei maialetti, simbolo della gastronomia sarda, è infatti indirizzato al turismo, settore economico più penalizzato e sul quale la ripresa è la più incerta e lunga di tutti.
Il canale horeca è quello infatti che assorbe la quasi totalità dei nostri maialetti, o meglio di quelli che rimangono dopo 40 anni di peste suina, che solo negli ultimi 10 anni ha ridotto di oltre il 50% il numero dei suini allevati in Sardegna che si attestano intorno ai 100mila capi.
L’altra linea della suinicoltura sarda, quella dei cosiddetti magroni, subisce invece le speculazioni del mercato, dovuta al crollo delle vendite dei prosciutti (che traina il mercato in Italia) e alla chiusura delle macellazioni di circa 200mila suini alla settimana. Ma non ha bloccato invece l’importazione di circa 1milione di cosce dall’Estero, provocando un invitabile crollo de prezzo (circa il 40% negli ultimi due mesi) che si sta ripercuotendo anche nel mercato sardo, in cui la speculazione la fa da padrone e si passa sopra anche sugli impegni e contratti firmati.
“Una situazione anomala – denuncia Pierluigi Mamusa, titolare di uno dei più grossi e moderni allevamenti suinicoli sardi – in cui crollano le macellazioni made in Italy ma non le importazioni dall’estero e in cui si utilizza il crollo del prezzo della carne suina in Italia come una clava anche con noi, dove tra l’altro per via della poca produzione, circa l’80% del nostro fabbisogno è coperto dalle importazioni. In questo modo si favoriscono le speculazioni a scapito delle nostre produzioni di qualità. Purtroppo la grande distribuzione si sta dimostrando poco sensibile a questo problema”.
A resistere in questi anni sono stati non solo gli allevatori più coraggiosi ma anche quelli più innovativi che hanno investito in formazione dando vita ad aziende moderne esempi di biosicurezza e imprenditorialità in Italia e in qualche caso in Europa.
Il modello vivente che ha tenuto in piedi e dato speranza di futuro a tutto il settore anche e soprattutto nei momenti più bui e difficili.
Ma quando sembrava giunto il momento del riscatto per questo settore, quando ormai si avvicinava anche il via libera alle esportazioni che avrebbero sancito anche il superamento della peste suina è arrivato l’emergenza Coronavirus.
Per gli allevamenti linea maialetto un duro colpo che senza sostegno sono destinati alla chiusura. Primavera-estate è infatti il momento di maggiore vendita. Quello in cui sono programmati e si concentrano le nascite.
La non vendita dei maialetti significa non solo meno entrate ma anche più spese. Stiamo parlando infatti di allevamenti strutturati, in cui tutto è programmato. I suini non possono essere aperti al pascolo brado, vietato dalle norme sulla peste suina, quindi le spese per l’alimentazione sono sempre le stesse per i maiali adulti, accresciuti dalla presenza anche dei maialetti non venduti, che intanto crescono e vanno fuori mercato. Stesso discorso per gli altri allevamenti di suini. In molti casi, questi allevamenti innovativi, effettuano anche il congelamento dei maialetti, visto che il mercato si concentra soprattutto a fine primavera e estate, con la crescita del flusso turistico. Ma a parte lo spazio nelle celle, il congelamento non ha tempi lunghissimi di conservazione.
“Il 55% del bilancio dell’azienda è composto dalle spese per mangimi – affermano i giovani allevatori Fabrizio Viglietti di Arzachena e Luciano Nieddu di Berchidda -. Ogni giorno spendiamo circa un euro a maiale. È chiaro che anche una azienda sana come le nostre non possono reggere queste ingenti perdite. Il margine per riprogrammare ed abbassare i costi di gestione sono davvero limitati con il rischio di mandare in fumo anni di programmazione e compromettere l’allevamento. Da oltre un mese siamo in perdita in un periodo nel quale invece devono prevalere le entrate”.
Nei giorni scorsi i due allevatori hanno regalato circa 30 maialetti alla Caritas di Olbia per destinarli alle famiglie meno abbienti. Un gesto di solidarietà, nonostante la crisi: “in questo momento, nonostante stiano andando in fumo anni di lavoro e investimenti e tutti i nostri progetti, non possiamo dimenticare chi sta peggio di noi”.
“Chiediamo al presidente Solinas la convocazione immediata di un tavolo virtuale sulla suinicoltura per trovare insieme delle soluzioni al comparto – afferma il presidente di Coldiretti Sardegna Battista Cualbu -. In questo momento, per via del blocco del mercato c’è una sovrapproduzione di carne. E’ necessario l’immissione di liquidità per garantire almeno il sostentamento degli animali, a rischio è un intero comparto e il lavoro di anni. Le soluzioni non mancano. Inoltre riteniamo opportuno estendere i controlli annunciati dal presidente Solinas anche al settore della carne per tutelare sia i produttori che i consumatori perché non ci risulta che il prezzo alla vendita sia più basso”.
Ma la proposta di Coldiretti Sardegna è anche un’altra. “La Regione potrebbe anche investire qualche milione di euro per acquistare carne di suino magari abbinato con una bottiglia di vino, da donare in questo caso ai ristoratori, altro settore fortemente penalizzato oltre che legato con i due settori agricoli (quelli che maggiormente in agricoltura stanno subendo perdite). Sarebbe “la spesa del nuovo inizio” con annessa promozione e sensibilizzazione ad un utilizzo maggiore di prodotti sardi nella ristorazione nostrana”.