Il senso del ridicolo non sembra appartenere alle moderne amministrazioni. Nella tragicomica narrazione dei giorni nostri può accadere anche che un soldato venga mandato al fronte privo di armi e poi venga accusato di esserci andato disarmato. Sta accadendo proprio questo. Sulla scorta di linee guida dettate più dallo stato di necessità che dalla scienza, medici, infermieri e operatori sanitari sono stati mandati in prima linea con scarpe di cartone e fionde: le mitiche mascherine chirurgiche monouso da riutilizzare finché non cadono a pezzi e una boccetta di gel per disinfettare le mani.
Qualcuno potrebbe obiettare che non è vero, che gli operatori che si devono occupare di pazienti sospetti positivi per COVID-19 hanno a disposizione tutti i tipi di protezione individuale.
Può darsi.
Però, quando il nemico è invisibile, quando sai che anche pazienti asintomatici o presintomatici sono altamente infettanti, allora la prima linea è ovunque e tutti i pazienti vanno considerati potenzialmente positivi e fonte di contagio.
Agli operatori diventati per antonomasia eroi, sparuti e stremati rappresentanti di un esercito un tempo numeroso, ora si chiede un ulteriore sacrificio, per la tutela della salute e della vita del popolo italiano.
Facendo leva sugli innegabili valori etici e deontologici delle professioni vengono incoraggiati e motivati a gettarsi in battaglia contro questo virus che mina dalle fondamenta il nostro modo di stare al mondo.
Assomigliamo un po’ agli eserciti di un tempo che scendevano in battaglia in campo aperto con decine di migliaia di morti. Come allora: onori e medaglie, soprattutto per i generali, quasi mai per i soldati semplici.
Come spesso accade e, a maggior ragione questa volta, i generali stanno a guardare, protetti da scudi impenetrabili.
Qualcosa però è andato storto. Qualcuno ha guardato oltre lo scenario di vittime ed eroi impegnati a salvare vite, ed ha iniziato a interrogarsi se vi fossero delle responsabilità, eventualmente perseguibili.
Che idea!
Ebbene si. E d’improvviso, come il colpo di scena a teatro, arriva il cambio di ruolo. Il definire eroi i medici e gli operatori sanitari potrebbe significare che le colpe sono altrove. Se si vantano troppo i soldati, ecco che allora le colpe vanno ai generali.
Da qui il passo è breve “Eroi? Quali eroi?” Medici e operatori sanitari non possono essersi infettati sul posto di lavoro, ove sono state create tutte le condizioni per operare al massimo della sicurezza (mascherine chirurgiche da usare con parsimonia, e comunque in luogo delle più appropriate FFP2 e FFP3, magari da riutilizzare; percorsi improvvisati diversi da un ospedale all’altro; triage ad opera dei singoli reparti; assenza di chiara separazione fra area COVID e non COVID e tanto altro).
Quindi? La soluzione è facile, direi ovvia: “Medici e operatori sanitari si sono infettati
altrove.”
Risultato?
Gratificazioni per gli eroi:
– mancato riconoscimento dell’infortunio sul lavoro;
– accusa di negligenza personale
Riconoscimenti per i generali:
– loro hanno fatto di tutto per far andare al meglio le cose. Loro non hanno colpa se qualcosa è andata male.
Allora. Probabilmente l’eroe è tale solo se muore sul campo di battaglia.
Oppure, per riuscire a salvarci dalle accuse infamanti che si profilano all’orizzonte, senza dovere per forza morire sul campo di battaglia, conviene cambiare strategia quando è ancora possibile farlo e non dopo, a fatti avvenuti, quando la Malattia e la Morte hanno già logorato e distrutto gli eserciti.
Non attenderemo che il tempo e la storia rendano giustizia ai giusti.
Adesso è il momento di pretendere rispetto e protezione per noi stessi e per le persone che vogliamo curare.