Quali logiche e pratiche adottate dai pastori possono insegnarci ad affrontare l’incertezza causata dalla pandemia del Coronavirus?
Per i pastori l’incertezza non è iniziata con il Covid-19, fa parte della vita quotidiana. Forti siccità, inondazioni, malattie animali, l’improvviso crollo dei prezzi, un aumento del prezzo di mangimi o gasolio. Il pastoralismo, l’allevamento semi-estensivo del bestiame, è un sistema di produzione costretto ad adattarsi tutti i giorni alle variabili di ecosistemi difficili.
I pastori sono capaci di integrare informazioni scientifiche con una profonda conoscenza del territorio, rielaborando informazioni (spesso mirate a realtà zootecniche più grandi o industrializzate) e riadattandole alle loro realtà territoriali e aziendali. Un’abilità indispensabile per far fronte all’incertezza.
Nonostante la scienza spenda ingenti somme di denaro e lavoro per “trasferire” le conoscenze scientifiche, spesso i consigli degli esperti non riescono ad avere l’impatto desiderato perché manca il coinvolgimento dei pastori. Se non si prendono in considerazione le condizioni particolari che possono variare anche tra vicini di pascolo, il sapere degli esperti non è efficace. Cooperazione e comunicazione sono dunque fondamentali e non è possibile avere una risposta unificata per realtà diverse.
Se guardiamo ai professionisti coinvolti in questa crisi, ci rendiamo conto che sono i lavoratori che stanno in prima linea, medici, infermieri e farmacisti ad essere i primi a innovare e adattarsi. Anche i pastori hanno affinato questa capacità da secoli.
Un modo semplice (anche se certamente non sufficiente) per sostenere la nostra economia regionale sarebbe comprare prodotti direttamente dai pastori. Questo ci permetterebbe di consumare prodotti genuini del nostro territorio, di avere consapevolezza della loro provenienza e qualità e di ridurre a zero l’impatto ambientale della catena alimentare.
Ma per chi volesse farlo la cosa è estremamente complicata. Ricevere le necessarie certificazioni è possibile, ma è un iter burocratico complesso e costoso. Al contrario, la vendita diretta dovrebbe essere sburocratizzata, resa più rapida e incentivata, e i requisiti da rispettare dovrebbero essere adattati alle realtà ed esigenze delle piccole aziende familiari, mentre oggi sono tarati sulle realtà di aziende più grandi e industrializzate. Questo senza però risultare in un prodotto più costoso per produttori e consumatori. Bisognerebbe, inoltre, incoraggiare la riapertura di macelli comunali per facilitare i canali di distribuzione brevi.
[foto id=”297017″]Foto di Ian Scoones (Ricercatore PASTRES)Tra le misure di supporto messe in campo dal Governo vi è quella di estendere il grado di parentela per i lavori occasionali a titolo gratuito. Prima, un cugino che ti aiutava in campagna poteva farti rischiare una multa salatissima. Il Covid-19 fa quindi emergere che forse le politiche fin qui perseguite per la pastorizia sono in parte inadeguate a supportare l’attività di piccole aziende familiari esposte all’incertezza.
Questa e altre strategie come l’autoproduzione, la vendita locale, la collaborazione nel lavoro e l’antica formula consuetudinaria di “s’aggiudu torradu“; sono esempi di pratiche da sempre utilizzate come meccanismi di resilienza.
Ma con la modernizzazione e la razionalizzazione del comparto, queste pratiche sono state disincentivate o addirittura diventate illegali, incrementando i costi per le aziende e sfavorendo la piccola produzione, i circuiti corti e la vendita diretta in favore di un sistema alimentare tarato prevalentemente sull’export internazionale.
Difendere il diritto dei pastori di riappropriarsi dei propri prodotti potrebbe essere una strada per affrontare questa crisi restando solidali. E restando uniti.
Giulia Simula (Ricercatrice PASTRES)