Lockdown allentato, Fase 2 iniziata ma con ancora più di qualche incognita. Legata alla presenza ancora incombente del Coronavirus, certo, ma anche connessa alle tante incertezze che accompagneranno la risalita dall’abisso.
Il governo ci prova, mette in campo i primi provvedimenti del dopo-crisi, cercando di imprimere la giusta sterzata al nostro Paese, facendo appello al senso di responsabilità, così come al buonsenso dei cittadini. Il premier Conte ha richiamato alla vigilanza e alla concretezza anche la sua squadra di governo ma, come più volte ribadito dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la ripartenza dell’Italia dovrà coinvolgere tutte le forze politiche, che avranno il dovere di remare nella stessa direzione.
Degli step necessari alla ripartenza, Interris.it ne ha parlato con l’ex presidente del Parlamento europeo, nonché vicepresidente di Forza Italia e del Partito popolare europeo Antonio Tajani:
Per ripartire servono investimenti.
[foto id=”297124″]Antonio Tajani
Antonio Tajani, l’allentamento del lockdown significherà anche la prima, parziale ripartenza per il nostro Paese dopo l’ondata Coronavirus. Come combinare il riavvio delle attività con la tutela della salute? E, soprattutto, come incentivare le imprese in una fase sostanzialmente incerta sia da un punto di vista degli spostamenti che dei consumi?
Serve un piano nazionale, strategico, che sia chiaro per tutti e che preveda una ripartenza ordinata che non pregiudichi la salute e un’ondata di ritorno del Coronavirus. Non possono ripartire tutti i settori e i territori contemporaneamente, ma bisogna ripartire. Con una strategia che aiuti anche le imprese. Intanto bisogna dare certezza, perché finora c’è stata molta confusione. Troppe task force, composte da persone esperte teorici ma non in ruoli di azienda o territorio. E poi serve mettere nelle condizioni le imprese di ripartire. Ci sono settori che sono a forte rischio, penso al turismo. Come s’intende aiutare la ripartenza? C’è un problema che riguarda la tenuta economica del nostro Paese, la strategia dev’essere collegata non solo ai tempi ma anche ai modi e ai sostegni. Bisogna assolutamente prevedere come aiutare questi settori. Serve poi una strategia che punti sugli investimenti: non è il momento di fare risparmio ma bisogna fare debiti, mettere denaro sul mercato, lavorare su infrastrutture piccole, medie e grandi, dar vita a un piano casa e ridurre la pressione fiscale e usare gli strumenti che ci darà l’Europa, perché senza liquidità non si riparte in nulla.
Al di là dello stanziamento dei fondi, quali misure potrebbero incentivare il turismo in una fase in cui, anche in ripartenza, spostamenti e accessi saranno fortemente limitati, perlomeno nel primo periodo?
Noi abbiamo fatto delle proposte concrete, ad esempio quella di detrarre dalle tasse degli italiani le spese fatte durante la vacanza. E bisognerà dare incentivi a fondo perduto ad alcuni settori, permettere di fare i voucher. È un settore che va assolutamente sostenuto con una vera strategia. Abbiamo parlato con tanti operatori, è un settore che rischia molto e dobbiamo valorizzarlo e difenderlo.
La crisi Covid-19 ha colpito tutti, assestando in particolare un colpo imprevisto per la fascia più debole della popolazione. C’è il rischio che per parte della piccola imprenditoria sia troppo difficile risollevarsi? Così come per le famiglie che hanno visto rallentare le loro attività lavorative…
Bisogna vedere quali saranno gli strumenti. Noi chiediamo che lo scostamento di bilancio arrivi ad almeno 75 miliardi, perché bisogna immettere denaro sul mercato. Ci sono le famiglie più deboli ma anche le imprese che danno loro lavoro. Le partite Iva sono state abbandonate, 600 euro non sono nulla. Anche il settore dello sport è in difficoltà. C’è molto da recuperare, utilizzare tutti i fondi che può offrire l’unione europea. Quando sento dire che non bisogna accettare il Mes mi sembra veramente assurdo, quando questi soldi possiamo prenderli a tasso più basso degli altri che prendiamo e che possono essere utilizzati per risistemare i nostri ospedali, assumere infermieri, fare mascherine, perché dobbiamo anche pensare che finché non c’è il vaccino c’è sempre il rischio di un’ondata di ritorno.
Il Mes, però, continua a non convincere fino in fondo…
Sono condizionati da quello che era stato il vecchio Mes, da come è stato utilizzato in Grecia. Ma qui si tratta di una cosa completamente diversa, è una linea di credito che viene da quei soldi ma con regole completamente diverse. Criticano un sistema che anche a noi non piaceva ma che, se verrà formulato come dicono, sarebbe positivo e potrebbe permetterci di sistemare i nostri ospedali, di formare medici, fare della ricerca. Si possono utilizzare 37 miliardi e non sono pochi.
Il Mes sarà la misura definitiva o l’Europa metterà in campo altri strumenti?
No, c’è molto altro. La Banca centrale ha immesso 1.100 miliardi per tutta l’Europa. Ci sono i soldi per la cassa integrazione, quelli per le infrastrutture e ora vedremo questo Recovery Fund, quanti soldi ci saranno e come verrà utilizzato. Noi pensiamo che servano tra i 500 e i 1.000 miliardi, metà per fare Recovery Bond, quindi garantiti dal bilancio dell’Unione Europea e metà potrebbe essere destinata a fondo perduto, quindi mettendo insieme la politica a favore dell’economia reale comune.
La temuta ondata di contagi al Sud Italia sembra sia stata contenuta rispetto ad altre zone d’Italia. A fronte di un’economia fortemente rallentata e di territori che ricavano buona parte del proprio indotto dal turismo, ritiene saranno necessarie misure ulteriori per le Regioni meridionali?
Innanzitutto al Sud Italia non vanno tolti i fondi europei destinati a loro. Ma poi il Sud ha lavorato bene, non a caso il New York Times ha citato il lavoro svolto dal governatore della Calabria Jole Santelli ma anche in Basilicata c’è quasi contagio zero, è la prima pronta a partire. Anche lì c’è un bravo presidente che ha lavorato molto bene. Il Sud ha avuto anche dei bravi amministratori. Ora bisogna stare attenti all’ondata di ritorno, che potrebbe venire dal Sud del mondo e dobbiamo lavorare per impedire che ci sia.
Pensando al dramma vissuto dalle RSA e dagli anziani, principali vittime del Coronavirus, ritiene che, a emergenza finita, occorrerà ripensare l’intero sistema di assistenza?
Il sistema è stato debole di fronte all’imprevisto. L’Italia è stato il primo Paese a subire l’attacco del Coronavirus, non c’è stata la percezione. Poi ci saranno stati errori ma toccherà alla Magistratura. In tutti i contesti ci sono stati errori, bisognerà vedere quali sono stati e impedire che si ripetano in futuro. Occorrerà migliorare la situazione, certamente ci sono delle cose che non funzionavano. Purtroppo il Coronavirus nelle comunità attecchisce molto facilmente.