Diplomata magistrale e laureata in scienze motorie, cestista semiprofessionista, fin da giovanissima è appassionata di danza, musica e scrittura, mondi in cui si immerge totalmente. Ha vissuto diversi anni a Roma. Nella capitale lavora, studia, canta e danza. Nel 2001 torna in Sardegna. Riprende gli studi da autodidatta nel canto jazz, grazie ai seminari “Nuoro Jazz” di Paolo Fresu. Nel 2010 dà vita al progetto AlmaCanta insieme al musicista Graziano Solinas, in cui è cantante e autrice di testi. Nel 2013 esce il suo primo disco “Legàmi”, edito da Tronos, a cui seguirà il secondo album “Revive” nel 2017. Ha appena pubblicato il suo primo libro “Andai nei boschi” per Catartica Edizioni
Conosciamo Zaira, allora.
Sono nata a Sassari nel 1975. Ho trascorso molti momenti immersa nella natura, spesso sperimentando piccole libertà, inusuali per una bimba, ma sempre in sicurezza. Adoravo ballare, in casa ricordo era pieno di LP: dal jazz, alla classica, alla musica internazionale, al più bel cantautorato italiano. A 6 anni ho cominciato la danza classica.
Ma il primo amore è stato lo sport.
A 10 anni, forse sull’onda dei cartoni animati in voga all’epoca, chiedo a mia madre di iscrivermi a pallavolo. Lei tentenna, rimanda. Aveva giocato a pallacanestro e desiderava in cuor suo che scegliessi anche io quella disciplina sportiva. Iniziai a giocare a pallacanestro. Mia mamma, come buon augurio mi diede una sua felpa dei vecchi tempi in cui aveva giocato con il Sant’Orsola. La indossai per farmi coraggio e per farla felice. Peccato che la squadra in cui mi ero iscritta fosse la Virtus Sassari. Non misi più quella felpa dopo il primo allenamento, Virtus e Sant’Orsola erano le squadre del derby in città e io ne avrei vissuti molti, sul campo. Il basket non solo fu sport al quale mi appassionai completamente, fu anche scuola di vita e cuscinetto ammortizzatore delle crisi adolescenziali. Fino ai miei 20 anni ho giocato con la Virtus, collezionando emozioni fortissime e vincendo campionati, affrontando sfide con me stessa e le avversarie, andando in campo con passione e umiltà. Sul finire degli anni sassaresi la Virtus mi presta alla Mercede Alghero che militava in Serie B e faccio questa bella esperienza con giocatrici che negli anni addietro erano state acerrime ma corrette avversarie.
Raccontaci del tuo percorso di studi.
Mi ero diplomata alle Magistrali nel ’94 col massimo dei voti. Per me la scuola era una sfida e volevo sempre superare i miei limiti. In quegli anni la mia fortuna fu di avere come professoressa di matematica Rosalba Tanda, che per prima comprese il mondo che si muoveva dentro i miei occhi e mi insegnò a calibrare emozioni, parole e scelta del tempo. Chiudo la maturità superando uno scoglio impossibile: dare matematica all’orale. Grazie alla prof. e alla sua fiducia, oltrepasso la paura del grande mostro. Amavo lei, non la materia che insegnava! Poi, per amore, quell’amore adolescenziale cieco e sordo anche davanti alle evidenti discrepanze, mi iscrivo a Economia e Commercio, scoprendo dopo qualche mese, alla prima lezione di Ragioneria e mentre preparavo con interesse Diritto Privato, che per me le persone non potevano essere ridotte a numeri. Mi alzo e me ne vado in piena lezione. Abbandono gli studi sassaresi, faccio la rinuncia e mi metto in corsa per le borse di studio a Roma per poter tentare il test di ingresso ed entrare all’ISEF, allora ancora Istituto Superiore di Educazione Fisica.
Roma, una tappa fondamentale nella tua vita.
Nella capitale mi formo in tutte le discipline sportive con molta passione e gioia. Spalanco la mia vita e intreccio amicizie con ragazzi di tante regioni diverse. Mi mantengo negli studi con la media scolastica e lavorando tre pomeriggi a settimana in piscina, con un sardo d’eccezione trapiantato in città da anni, l’allenatore Alfio Flores. Mi ha portato in vasca lui, trasmettendomi la capacità di insegnare giocando, anche ai piccolissimi. Lui è stato uno dei miei riferimenti e mentori nei primi anni romani. I fine settimana li passo al pub, al lavoro. Studio, esami, lavoro. Creo i miei rapporti di stima e fiducia professionale. Riesco anche a giocare un anno in serie A2 con la squadra dell’Esperia Roma. Divento Capo Allenatore del Settore Minibasket dei Centri Romani Basket, di cui conservo ricordi meravigliosi. Aumentano gli impegni lavorativi, rallento un po’ con gli esami ma nel 2000 mi laureo. Anche qui pieni voti. E la Lode. Di Roma ho tanti bei ricordi. Lì ho potuto dare di nuovo spazio al canto, grazie ad uno scherzo di un amico sardo. Una sera in un pub sento chiamare il mio nome: – Ora Zaira ci canterà “E se domani” di Mina! – Rimango a bocca aperta, il mio amico sorride…Mi aveva iscritta nell’elenco di chi voleva cantare in quella serata di piano bar, dopo avermi chiesto poco prima quale fosse una delle canzoni che amavo. Sono salita sul palco e ho cantato. Il pianista mi guarda dopo gli applausi e mi chiede: – Tu canti? Sei brava, hai un repertorio? – Mentendo, dopo una frazione di secondo, dissi “Sì!”. Mi scritturò per la sua agenzia la sera stessa, tornai a casa e mi misi su a costruire quel repertorio che assolutamente non avevo! Presi la mia musica, i cd, le musicassette con le compilation e feci un elenco di 30/40 canzoni. Roma mi diede il “La” per ricominciare a cantare, ma stavolta davanti al pubblico, e non più davanti allo specchio di casa mia.
E poi nel 2001 una nuova svolta nella tua vita?
Durante il mio rientro estivo in Sardegna ad Alghero, città in cui ho sempre trascorso le vacanze, e poco prima di ripartire per Roma, la mia vita cambia radicalmente. Mi innamoro di un ragazzo, che poi diventerà mio marito e con il quale avrò una figlia e con il quale divorzierò 8 anni dopo. E mi blocco completamente con la schiena. Fase acuta di ernia lombare. Tre mesi a letto e mesi di riabilitazione. Una vita per aria. A Roma tutti aspettavano che rientrassi, tre lavori e molta stima. Ad Alghero tabula rasa, nessuno sapeva chi fossi e nonostante il mio lunghissimo curriculum, nessuno mi assunse e mi diede fiducia. Gli anni del matrimonio (il primo) sono anni quasi infernali. Zaira l’invisibile, Zaira la dipendente dall’altro. Tanta formazione e nessuna proposta di lavoro. Un incubo. Il sole era mia figlia, grazie a lei e a ciò che avevo capito di voler essere per la sua felicità, è cominciata la rinascita. Nel 2005, un anno prima che nascesse Nina, avevo incontrato ancora una volta il Buddismo e avevo iniziato a praticare Nam myoho renge kyo. Da quella volta non ho più smesso. La mia vita si riapre, come un bocciolo fa dopo un rigido inverno trascorso in attesa della primavera. Inizio ad insegnare nella scuola statale, grazie alla laurea in scienze motorie e al diploma magistrale. Divento una supplente precaria. Riacquisto determinazione e fiducia nelle mie illimitate possibilità. La mia vita, letteralmente, si ribalta di nuovo. A mia figlia voglio mostrare la mia autentica natura e la mia lotta. I figli imparano dai genitori a realizzare sé stessi o meno e io non avevo intenzione di dare un brutto esempio.
Da bambina hai avuto degli approcci importanti con la danza.
Soppiantati negli anni dalla musica e dalla scrittura? Ballare per me è stata la prima necessità, insieme alla musica. Sulle note di una canzone ogni volta ero libera, le emozioni fluivano, si trasformavano, si ripulivano. Ricaricavo le batterie, diventavo forte. Negli anni romani la danza ha avuto un ritorno importante perché grazie ai gruppi sperimentali pomeridiani con il prof. Alessandro Mezzetti e la prof.ssa Renata Pantanelli facevamo esperienze di danze mescolate fra loro, bioenergetica, entravamo nel ritmo e cercavamo la nostra autenticità nell’espressione corporea e nel movimento. Quella fu una grande lezione di vita, una fase in cui conobbi molto di me stessa. Ho fatto straordinarie esperienze al Teatro Olimpico, poi in Svezia ai Campionati Mondiali Universitari di Goteborg, Festival vari. Gli anni romani mi hanno permesso anche di cantare le canzoni del cuore, quelle di altri grandi musicisti che avevo ascoltato fin da piccola. In Sardegna, ho avuto modo di iniziare a seguire dei seminari di jazz, sia ad Alghero che a Nuoro. A Nuoro ho studiato con Serena Caporale, Maria Pia De Vito, Rossella Faa, ai seminari con la direzione artistica di Paolo Fresu. Ho imparato molto e nel corso degli anni ho trovato il mio canto, se pur diverso dai canoni richiesti per un certo tipo di jazz. Nel 2010, incoraggiata da un’amica e collega cantante, partecipo ad un concorso organizzato dall’Orchestra Jazz della Sardegna. Non vado oltre la fase preliminare, raccogliendo dei complimenti, ma per registrare la demo conosco un musicista, pianista e compositore con cui poi, nel 2014 mi sono sposata, Graziano Solinas. Graziano compone musiche bellissime che evocano in me immagini. Emergono le parole sulle note e comincio a scrivere testi sulle sue musiche: scrivo in italiano, inglese, algherese e portoghese. Spero di fare l’esperienza di scrivere e cantare in sardo, pria o poi, in modo naturale.
Sino al progetto “AlmaCanta” e tanto altro…
In AlmaCanta ci siamo io e Graziano come autori ma a noi si aggiungono per i live e la registrazione in studio, arricchendo moltissimo il colore della nostra musica, musicisti sardi eccezionali. Nel primo disco “Legàmi” del 2013: Lorenzo Sabattini contrabbasso e basso elettrico, Antonio Pitzoi chitarre, Paoletto Sechi batteria, Gian Piero Carta clarinetto e sax. Collaborano su alcuni brani anche il bravissimo cantautore e chitarrista Carlo Doneddu, Nico Casu tromba e flicorno e il batterista Massimo Russino. Nel disco “Revive” del 2017 subentra Andrea Lubino alla batteria e la ritmica è completata dai solidissimi Lorenzo Sabattini e Antonio Pitzoi. Al sax e clarinetto Gian Piero Carta continua a dare il suo apporto prezioso. Attualmente con Graziano stiamo completando il lavoro per poter entrare in studio quanto prima per registrare il terzo disco che ci auguriamo poter fare ascoltare entro il 2020. Oltre al progetto “AlmaCanta”, sempre con la collaborazione di Graziano Solinas, ho ideato “Omaggio a Gianni Rodari”, scrittore, maestro e intellettuale che amo molto e con la cui poetica sono cresciuta. E’ un recital musicale in cui leggo alcuni dei racconti e delle filastrocche di Rodari insieme alla musica che Graziano improvvisa sulle storie e le emozioni che si dipanano nei testi. Attualmente collaboro con un altro musicista che stimo moltissimo, il chitarrista Marcello Peghin, con il quale suoniamo le Afrosambas di Baden Powell e Vinicius de Moraes, riarrangiate magistralmente da Paulo Bellinati e Monica Salmaso. Ciò che mi manca molto, nel lavoro musicale, è la presenza di un/una manager che faccia il lavoro del booking, delle prenotazioni dei concerti e degli spettacoli. E’ un vero e proprio mestiere e non si può saper fare tutto tutti. Il mio obiettivo è vivere dalle mie attività creative e artistiche, continuo a insegnare per passione e anche per necessità. Gli impegni vanno mantenuti, le bollette e l’affitto vanno pagati e bisogna trovare una via di mezzo per arrivare a fare ciò che si ama di più. Ogni sforzo mi insegna sempre qualcosa. E questo finisce per arricchire il mio vissuto e quindi la mia espressione come artista.
Dulcis in fundo la scrittura…
La scrittura c’è sempre stata, a tessere ricordi, struggimenti, domande esistenziali, sbrogliare problemi tra me e me. Perché per molto tempo la mia migliore amica sono stata io. E scrivere mi permetteva di osservarmi, capire gli eventi e i cambiamenti, resistere e reagire alle difficoltà che incontravo. La scrittura (poesia, prosa e brevi racconti) è rientrata nella mia vita circa 3 anni fa, nel 2017, in modo inevitabile e necessario. Ho attraversato un periodo frustrante e combattuto, ma anche un territorio interiore dimenticato e desiderato. Da questo cammino nelle mie profondità (è stato come camminare per folti e variegati boschi) e sempre in relazione con la vita, le persone, la natura, le emozioni, è nato “Andai nei boschi”, il mio primo libro, edito da Catartica Edizioni, giovane casa editrice indipendente sassarese (nata guarda un po’ nel 2017!). Non scrivevo per il libro, scrivevo perché avevo cose da dire, da guardare, da accogliere e accettare. E volevo condividerle. Praticando il buddismo di Nichiren Daishonin ho imparato che spesso le parole e le esperienze degli altri ci scuotono e ci spronano in modi imprevisti, che ci portano a rivoluzionare atteggiamento e prospettive, in direzione di una vita più realizzata e felice. Avevo delle cose da raccontare, per me stessa ma anche per toccare il cuore delle persone. E’ quello che voglio fare anche con la musica: toccare il cuore, aprire nuove prospettive con la potenza e la poesia del suono, della voce, della parola. Il libro è uscito il 24 Febbraio 2020, una settimana prima dell’inizio della quarantena a causa del Coronavirus. Una bella botta. Ho fatto in tempo a fare una bellissima e partecipata presentazione a Sassari e poi tutto è rimasto sospeso.
Con le esperienze del passato, come sarà il tuo futuro soprattutto in una terra tanto bistrattata come la Sardegna?
Quando sono rientrata in Sardegna da Roma e sono rimasta bloccata per la salute, ho vissuto i successivi 5/6 anni di grande frustrazione, di totale indifferenza verso la mia preparazione e la mia professionalità, come insegnante di educazione fisica e come tecnico di basket. Come persona. Ero fuori da ogni giro, ad Alghero soprattutto, dove fino ad allora avevo trascorso solo le vacanze estive e non avevo amicizie radicate. Ho assaggiato quindi il sapore amaro della mia terra e dei miei concittadini. Ho vissuto la diffidenza, l’invidia, la chiusura verso chi esce fuori dall’isola, acquisisce competenze, preparazione e professionalità e poi ritorna. Sono comportamenti che ancora non mi spiego. Perché noi sardi non sappiamo riconoscere il valore altrui? Forse perché non sappiamo riconoscere il nostro, di valore. E su questo, credo che molti possano essere d’accordo. Quando nel 2010 ho conosciuto Graziano Solinas, ho intrapreso una strada impensabile per me fino al momento prima: quella del canto e della musica vissuti in modo professionale, perché hai qualcosa da dire e lo fai in modo originale, non canti più la musica degli altri. Tu apri la strada, la tua. Esattamente come hanno fatto moltissimi altri. Chi più noto, chi meno. A quel punto, quando scrissi la mia prima canzone in algherese (“La tua veu”) avevo già deciso che sarei rimasta in Sardegna, ad Alghero. E’ qui che mi sarei occupata di splendere, di svilupparmi e indagare ogni mia possibilità espressiva, professionale e umana, a prescindere dall’atteggiamento e dalla brutta e radicata abitudine a sminuire chi in patria voleva esprimersi, dare, condividere. Ho sentito che se tutti partiamo, questa terra a chi la lasciamo? Se ne siamo gli abitanti, un motivo c’è. Ed è che abbiamo certamente le capacità di viverci felici, in ricchezza e benessere. Non sono un’esperta di economia e di strategie del lavoro, ma ho sempre avvertito il forte impulso auto-sabotante dei sardi. Amiamo di più chi viene da fuori e ha già i soldi, ma sfrutta le terre, la forza lavoro e magari paghiamo caro con la vita, spesso. Eppure sentiamo ancora dire “E’ lavoro”. Lo preferiamo al morire di tumore, ad esempio. Non tutti, certo. Molti. Non voglio, e non sarei preparata a farlo perché dovrei studiare e parlare con chi ne sa più di me, parlare di cosa dovrebbero fare i sardi per emanciparsi dalla sottomissione, dalla convinzione che “se sei di fuori e non sei sardo sei meglio di un sardo preparato nel suo lavoro”. Io intorno a me, oltre ai tanti problemi che affliggono la nostra isola, vedo tanta ricchezza ambientale, culturale, artistica. Vedo tanti mestieri che dovrebbero avere molta più dignità e riconoscimento. Non dobbiamo aspettare che qualcuno ci accordi un valore, un’importanza. Ogni abitante di questa splendida isola, che viva qui o altrove, sa nel profondo quanto ha lottato, quanto vale, quanto ha da dare. Per la sua terra qui, o dall’estero. Sono diventata indipendentista in questi ultimi anni, per un importante motivo: l’assoluta fiducia nelle possibilità di emancipazione, libertà e benessere che noi sardi abbiamo. Il percorso sarà lungo e tortuoso. Molto prima che mi risvegliassi al desiderio di indipendentismo, è partito questo dibattito. Anche tra indipendentisti si sono create divisioni. Ecco, questo è un altro punto su cui possiamo migliorare. Imparare a lavorare insieme, con fiducia e con progetto, lungimiranza. Se ci riusciremo, magari non saremo noi a vederne i risultati, ma i nostri figli e figlie sì!
Intervista a cura di Massimiliano Perlato