Due giorni fa, il Parlamento ungherese ha approvato il disegno di legge che prevede che il primo ministro, Viktor Orbán, governi sulla base di decreti, possa cambiare o sospendere le leggi attualmente in vigore, bloccare le elezioni e sciogliere lo stesso Parlamento. Il tutto senza alcun limite di temporale, dato che è fallito il tentativo dell’opposizione di fissare una scadenza di 90 giorni in cui esercitare tali misure straordinarie:
“Chi non vota questa legge è dalla parte del virus” ha affermato l’uomo forte del Fidesz, il partito nazional-populista affiliato al PPE. I numeri sono inequivocabili, con una maggioranza importante di 137 deputati a favore e 53 contrari; d’ora in avanti solo Viktor Orbán potrà decretare quando e se sarà cessato lo stato di emergenza in relazione al diffondersi dell’epidemia.
Per la commissaria del Consiglio Europeo per i Diritti Umani, Dunja Mijatović, il Coronavirus non può giustificare una limitazione dei poteri parlamentari di questa portata, così come deve essere assicurata l’imparzialità della magistratura e la libertà di stampa, soprattutto in periodi così critici; ma nel disegno di legge sono inoltre previsti la reclusione fino a 8 anni per chi violi la quarantena e fino a 5 anni per chi diffonda fake-news sul virus, che, tradotto per chi vuole leggere tra le righe, significa il carcere per quelli che criticheranno la gestione dell’emergenza sanitaria; per molti l’atto conclusivo di un copione liberticida messo in atto fin dal 2010 con il preciso obiettivo di silenziare la stampa, concretizzatosi, tra le altre cose, con la chiusura del Nèpszabadsàg, il giornale dell’opposizione, ufficialmente fallito per bancarotta nel 2016.
Un controllo sempre più capillare del Paese ottenuto con il posizionamento di suoi uomini che hanno acquisito il controllo di settori strategici come quello dei mass-media, la cui fedeltà è da ricondurre, amara ironia, a una gestione spesso opaca dei fondi europei erogati dalla UE per lo sviluppo agricolo dell’Ungheria, in realtà dirottati tra le società e nei progetti di appalto della cerchia del suo entourage.
Per Bertalan Toth, leader dei socialisti, è iniziata la dittatura senza la maschera del Primo ministro, che avrebbe strumentalizzato l’emergenza sanitaria per accentrare sempre più potere nelle proprie mani fino ad attuare un vero e proprio golpe bianco. Il provvedimento appare infatti sproporzionato in confronto all’andamento dell’epidemia, con 500 contagiati e “solo” una quindicina di morti, se stiamo ai numeri ufficiali; eppure, fin dagli inizi di marzo, è stato sospeso l’accesso ai richiedenti asilo e negato ogni loro diritto, mentre in questi giorni Orban ha tentato di addossare la colpa del contagio agli studenti universitari iraniani, ritornati in Ungheria, dopo le vacanze nella propria nazione.
In Italia, la scelta di appellarsi all’Unione Europea per sanzionare l’Ungheria si è dimostrata quasi unanime:
Il virus ha fatto ammalare la democrazia nel nostro continente – twitta Andrea Orlando. – È inaccettabile, l’Europa deve far tornare indietro Orbán, un regime autoritario non può far parte dell’Unione Europea.
Seguito da Zingaretti:
Diciamo ad Orbán di combattere il Coronavirus, non la democrazia.
Non della stessa opinione Giorgia Meloni, che mette sullo stesso piano l’operato e il ruolo del premier magiaro con quello del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e Matteo Salvini
Buon lavoro all’amico Victor Orbán e buona fortuna a tutto il popolo di Ungheria, in un momento così difficile per tutti.
I due leader sovranisti sono infatti sostenitori di lunga data delle politiche del Primo ministro ungherese. Anche Matteo Renzi si è unito alla maggioranza degli ex colleghi del PD:
Dopo quello che ha fatto Orbán, l’Europa deve battere un colpo e fargli fare un passo indietro. O semplicemente cacciare l’Ungheria dall’Unione.
Eppure, anche se auspicabile, la cacciata dell’Ungheria potrebbe non essere così immediata: infatti, se per decisioni del genere occorre l’unanimità degli stati membri della UE, ora bisognerà fare i conti con l’alleanza dei Paesi del Blocco di Visegrad; nata nel 1991 tra 4 Paesi dell’Unione Europea inizialmente inglobati nell’URSS, ossia Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e la stessa Ungheria, dopo il crollo del Muro di Berlino è stata sancita con lo scopo di sostenersi politicamente e culturalmente, fino a che, al giorno d’oggi, si è sempre più orientata verso posizioni euroscettiche, sovraniste e rigide in tema di immigrazione, ostruzioniste con i valori dell’Unione pur godendo dei suoi benefici; il V-4 potrebbe dunque rivelarsi il muro di gomma contro il quale verrà respinta ogni richiesta di espulsione.
Per molti esperti questo potrebbe essere il colpo definitivo che potrebbe far crollare la stessa UE, la quale non può assolutamente permettersi di avere un regime tra i propri Stati membri, tenuto a galla proprio da quei fondi comunitari concessi per lo sviluppo dell’Ungheria, in un arco di tempo necessario, in realtà, a un progressivo e sistematico smantellamento delle garanzie costituzionali e al tradimento dei principi democratici su cui si fonda la stessa Unione Europea.
Fonte: la Repubblica, Ansa, l’Informazione,