Quattro numeri che sovrapposti come amanti com-baciano e perfino spariscono l’uno nell’alto, forse portando con sé troppi amici e conoscenti e con essi la libertà di far ciò che ci pare, di andare ovunque e con chi si vuole. Siamo entrati in tempo rallentato, ansioso e sospettoso, che magari condurrà a nuove riflessioni, forse più mature e indipendenti, rispetto alla bulimica voglia di popolarità e di quelle esperienze che sembravano non avere fine.
Dal volere tutto al vedere tutto siamo adesso ognuno col nostro sguardo, che quando evade dal monitor, prosegue e insegue quel panorama che si scorge dalle proprie case, ultimi luoghi sicuri della terra, che resistono agli assalti di un nemico assurdo che predilige le persone fragili, provate e chi ha compiuto buona parte del suo cammino.
Germano Celant
Impossibile lavorare con questo clima, soprattutto quando si ha la possibilità di poterlo fare, perché avviene il paradosso in cui mente e corpo si oppongono, anche se si è in piena forma, perchè entrambi percepiscono che l’energia è cambiata e ora va indirizzata altrove, con precisione. Ma principalmente va armonizzata dal pensiero che si muove tra acque agitate e dal futuro gesto fisico da compire, per ritrovare la sua efficace naturalezza.
In una tale riappropriazione del rapporto uomo-natura su cui riflettevo con Mara nei giorni scorsi, netta come la doppia cifra del 2020 ci è apparsa la figura di Germano Celant, scomparso in queste ore in un altro numero pieno, 80 quello dei suoi anni, per via di quel virus che divide e disorienta.
Nel 1997 da giovanissimo studente dell’Istituto d’Arte andai a vedere la sua Biennale di Venezia e negli anni a venire acquistai per la mia biblioteca una serie di corposi cataloghi da lui curati.